Nuovo Codice della Strada, obbligo di installare l’alcolock che blocca il motore dell’auto se sei ubriaco e pene più severe

Pubblicato il: 25/09/2023

Il Governo assicura il pugno di ferro per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.
Si tratta di una politica, messa in atto dall’attuale Governo, volta a prevenire una delle principali cause degli incidenti stradali: la guida sotto l’effetto di alcol o droghe.
Le novità su questo tema sono diverse.

In primo luogo, il disegno di legge in tema di sicurezza stradale e la delega per la revisione del codice della strada approvato qualche mese fa dal CDM ha inasprito le pene per chi guida sotto l’effetto di alcol o stupefacenti, in violazione dell’art. [[n186cds]] del codice della strada.
Secondo il ddl le multe saranno aumentate di un terzo rispetto alla normativa ora in vigore. Le multe per questo tipo di violazione del C.d.S. andranno, dunque dai 724 euro fino ai 2900 euro.

Inoltre, per chiunque risulti già condannato per guida in stato di ebbrezza, si impone il divieto assoluto di assumere alcolici alla guida nonché l’obbligo di installare l’alcolock, un nuovo strumento già noto ad altri Paesi Europei. In caso di mancato rispetto di tali disposizioni, per questa categoria di recidivi è previsto il cd. “l'ergastolo della patente”, ovvero la revoca definitiva della stessa.

Cos’è l’alcolock?
L’alcolock, noto anche come Alcohol interlock system (AIS), è un dispositivo che impedisce l’avvio del motore se il tasso alcolemico del guidatore recidivo è superiore allo zero. E’ previsto che questo strumento venga installato all’interno dell’abitacolo, vicino al sedile del conducente.
Nello specifico, il guidatore, già condannato per guida in stato di ebbrezza, dovrà sottoporsi al test obbligatoriamente prima di mettersi alla guida, soffiando dentro a questo strumento che è collegato con il sistema di accensione del veicolo. Nel caso in cui, a seguito del test risulti un valore di alcol superiore allo zero il veicolo o il ciclomotore non potrà partire. Il nome “alcolock” deriva dall’unione dei due sostantivi “alcol” più il nome inglese “lock” che significa bloccato, in riferimento al veicolo che, per l’appunto, rimarrà bloccato a seguito di consumo di alcol non consentito.

Rispetto all’etilometro, il cui test viene effettuato dalle forze dell’ordine, l’Alcolock viene svolto in autonomia dagli stessi automobilisti, i quali saranno obbligati ad installarlo nelle proprie auto, a seguito della riforma del Codice della Strada.
Dal 4 luglio 2022 l’Unione Europea, infatti, impone alle case automobilistiche l’installazione del dispositivo su tutte le auto di nuova omologazione. In caso di vecchie auto invece, bisognerà installarlo molto probabilmente a proprie spese.
Per quanto riguarda le modalità di installazione da parte delle officine autorizzate si dovrà aspettare un decreto ad hoc del Ministero dei Trasporti. Per ora si sa che i costi di installazione non sono proprio irrisori e pare andranno dai 1500 euro ai 3500 euro per le auto di vecchia generazione, a cui andranno aggiunti anche i costi periodici di taratura.

Il Governo ha predisposto, inoltre, misure ad hoc anche per chi guida sotto effetto di stupefacenti. La riforma prevede il ritiro della patente in caso di esito positivo di controlli, effettuati dalla polizia stradale, attraverso un kit specifico che testa l'uso di sostanze stupefacenti attraverso saliva o urina del fermato.
Per cui, si suggerisce caldamente ai guidatori una maggiore prudenza alla guida, altrimenti andranno incontro a conseguenze gravi.


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Garage e cantine diventano abitabili, puoi trasformarli in appartamenti: la nuova proposta di legge di Lega e FdI

Pubblicato il: 24/09/2023

Ebbene sì, possiamo dire che la Destra Italiana ha visto abbastanza film americani. Difatti, è impossibile non pensare ai prodotti cinematografici e televisivi statunitensi, quando si parla di rendere abitabili i luoghi dove parcheggiamo le auto o depositiamo attrezzi e vecchie cianfrusaglie.

Nei film americani, quando i protagonisti aprono le porto dei loro garage, si spalanca un mondo: si passa da sale prove per gruppi musicali a veri e propri appartamenti. I garage, in America, sono un po' il rifugio degli adolescenti e, secondo le leggende che si tramandano, lì sono state partorite idee geniali, come quelle che hanno portato alla nascita di Google, Amazon o Apple.
In Italia, la situazione è un po' diversa. Nel nostro immaginario, come cantine e seminterrati, spesso sono semplicemente luoghi in cui, oltre a parcheggiare l'auto, depositiamo scatoloni, attrezzi e, in genere, tutto ciò che in casa ingombra troppo. Eppure, la Destra Italiana ha proposto di ripartire proprio da questi luoghi per provare a risolvere l'emergenza abitativa nel Lazio.

Sul tema, tre proposte di di legge erano state avanzate da parte di FdI, Lega e UdC, ossia la p.l.r. 67 dell’11 agosto 2023 "Disposizioni per il recupero dei vani e locali seminterrati esistenti", la p.l.r. 71 dell’8 settembre 2023 "Recupero dei vani e locali seminterrati" e la p.l.r. 75 del 14 settembre 2023 "Recupero dei vani e locali seminterrati esistenti e creazione del fondo straordinario comunale per il dissesto idrogeologico".

In occasione della seduta del 21 settembre in Commissione urbanistica, politiche abitative e rifiuti, le tre singole proposte di legge regionale sono state ritirate, per la somiglianza tra gli argomenti, dai consiglieri dei rispettivi partiti, che hanno deciso di accordarsi tra loro su una proposta unica.
In particolare, il nuovo testo è a firma di Laura Cartaginese (Lega), Micol Grasselli (FdI) e Nazareno Neri (Udc) e, come precisato dalla consigliera Grasselli, ricalca l'impianto legislativo della sua proposta, ma con l’aggiunta, da parte della consigliera Cartaginese, dei requisiti e dei controlli del gas Radon, nonché con il supplemento, da parte del consiglieri Neri, di una richiesta di contributo da indirizzare ai comuni per prevenire rischi idrogeologici.

Tale proposta di legge regionale si pone l'obiettivo di rendere abitabili spazi quali cantine, seminterrati e garage, anche per destinarli ad uso commerciale, così limitando la cementificazione che, nella regione Lazio e nella capitale in particolare, ogni anno continua a sottrarre terreni che potrebbero essere destinati ad altre finalità.

Dai dati Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale), emerge che ogni anno a Roma viene costruita una superficie pari a 150 campi da calcio.
Un lato più ecologista della proposta, che ha però anche delle finalità economiche, ossia incentivare la ripresa del settore edile.

Il testo della proposta di legge si compone di 7 articoli e in esso si legge che questi spazi potrebbero fungere da abitazioni anche derogando ai limiti e prescrizioni edilizie degli strumenti urbanistici vigenti e dei regolamenti edilizi, ovvero senza raggiungere il minimo dei 2,40 metri di altezza.

Nel caso di soffitti irregolari, la Lega propone di calcolare l’altezza media, mentre Fratelli d'Italia propone di realizzare opere murarie abbassando il solaio.
Ovviamente, non sono mancate aspre critiche alla proposta, che in realtà era già stata avanzata nel 2018. C'è chi evidenzia che si tratterebbe di una sanatoria per situazione esistenti, e chi, come Legambiente, afferma che si costringerebbero le persone a vivere in spazi inidonei, esponendole così a elevatissimo rischio idrogeologico.
Il consigliere Valeriani, del PD, sostiene che il centrodestra nasconde interventi di recupero di locali senza prevedere specifici livelli prestazionali e ambientali, oltre alla mancata introduzione di misure di mitigazione del rischio idrogeologico e degli elementi inquinanti, come il gas radon che – afferma il consigliere – è altamente pericoloso per la salute e la sicurezza.

Vari sono gli aspetti da valutare in merito a tale proposta di legge regionale, di cui si parla molto in questi giorni. Non ci resta che attendere gli sviluppi, per scoprire se diverrà o meno realtà.


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Eredità Berlusconi, cosa insegnano il caso Silvio ed i suoi tre testamenti per lasciare serenità e ordine ai propri eredi

Pubblicato il: 23/09/2023

Soltanto pochi italiani decidono di fare testamento.
Eppure, la vicenda di Silvio Berlusconi e dei suoi tre testamenti olografi ha evidenziato quanto una scelta del genere possa essere importante.
Però, il caso Berlusconi ha messo anche in luce come, se si decide di fare testamento, sia consigliabile affidarsi ad un professionista del settore e non improvvisarsi in testamenti “fai-da-te”. Il rischio è fare errori che potrebbero rendere invalido il testamento o parti di esso.

In relazione al Cavaliere, ci sono tre testamenti olografi: il primo del 2 ottobre 2006, il secondo del 5 ottobre 2020 e l’ultimo del 19 gennaio 2022.

Il testamento olografo è uno dei modi che il nostro sistema conosce per fare testamento, insieme al testamento pubblico (art. 603 c.c.) e al testamento segreto (art. 604 c.c.). Nel caso del testamento olografo, l’interessato scrive di proprio pugno il testamento (art. 602 c.c.). Proprio come ha fatto Silvio Berlusconi.

In questo caso, si devono rispettare i requisiti di forma previsti dall’art. 602 c.c.. Altrimenti, il testamento potrebbe considerarsi invalido.

La legge prevede che il testamento olografo deve essere scritto interamente dal testatore, di mano propria. Inoltre, deve essere datato e sottoscritto dal diretto interessato.
Sotto questo punto di vista, tutti e tre i testamenti del Cavaliere risultano scritti autografi e regolarmente datati e sottoscritti. Dunque, siamo davanti a tre testamenti olografi validi.

Ma Berlusconi cosa ha stabilito nei tre testamenti?

Con il primo testamento, l’ex Presidente del Consiglio ha disposto l’eredità lasciata ai figli. Con il secondo testamento, è stato aggiunto un lascito (si parla di “legato”) di 100 milioni di euro al fratello Paolo Berlusconi. Infine, con l’ultimo testamento, il Cavaliere ha disposto dei legati milionari a favore sempre del fratello Paolo Berlusconi, a Marta Fascino e Marcello dell’Utri.

Analizzare il contenuto dei diversi testamenti è importante proprio perché l’ex Premier ha redatto più documenti nel corso degli anni. Vediamo perché.

Cosa accade quando ci sono più testamenti, come per Berlusconi?

Con più testamenti scritti nel tempo, se non c’è una revoca espressa del precedente documento testamentario, bisogna guardare al loro contenuto per capire quale si deve applicare.

Se ci sono più testamenti e questi hanno un contenuto incompatibile, allora si dovrà seguire il testamento con data successiva e il precedente testamento verrà tacitamente revocato.

Tuttavia, questo non è il caso di Silvio Berlusconi. I tre testamenti del Cavaliere si integrano tra loro: rispetto al primo, il secondo e il terzo prevedono in aggiunta dei lasciti a favore di soggetti diversi. Pertanto, non c’è una revoca tacita del precedente testamento, che comunque rimane valido.

C’è un però. Se è vero che è consigliabile redigere testamento, è anche vero che è fondamentale rivolgersi ad un professionista per evitare di scrivere disposizioni che il nostro ordinamento potrebbe considerare invalide.

E la vicenda di Berlusconi, anche sotto questo punto di vista, fa pensare. Nell’ultimo testamento, sembra che l’ex Presidente abbia deciso di fare tutto da sé. Il problema? Ci sono degli errori tecnici che un esperto non avrebbe commesso. Ad esempio, il Cavaliere ha previsto una condizione sospensiva, subordinando il testamento al verificarsi di un evento futuro negativo: cioè, quelle disposizioni testamentarie si sarebbero applicate solo se lui non fosse tornato dall’ospedale. Se non c’è l’evento futuro, la disposizione è come se non fosse mai stata scritta. Questo che significa? Vuol dire che, in questo caso, il ?ritorno dall’ospedale” rende inefficace la previsione testamentaria.

Dunque, è importante scrivere un testamento, ma è altrettanto fondamentale chiedere l’aiuto di un professionista competente per non sbagliare e invalidare le proprie ultime volontà.


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Mi sono infortunato in palestra, ecco come ottenere il risarcimento: tutto quello che devi sapere

Pubblicato il: 23/09/2023

Settembre è tempo di buoni propositi. Uno su tutti? Andare in palestra per mettersi in forma dopo le vacanze estive. Magari anche tu hai deciso di fare seriamente attività fisica, frequentando costantemente una palestra e utilizzando l’attrezzatura a disposizione.

Però, che succede se ti fai male mentre ti stai allenando? Sai quando è responsabile la palestra e come puoi farti risarcire? Cerchiamo di capirlo insieme.

Devi sapere che, spesso, quando ti iscrivi in palestra e paghi la quota annuale, questa somma comprende anche un’assicurazione che copre gran parte degli infortuni che si potrebbero verificare nella palestra durante l’esercizio.

Certo, la legge pone l’obbligo di assicurazione soltanto per i centri sportivi riconosciuti dal CONI (dove si svolge attività agonistica). Negli altri casi, la polizza è facoltativa, ma comunque puoi decidere di stipularla per conto tuo.

Allora, se sei coperto da assicurazione, vieni risarcito sempre e comunque?

Per rispondere, dobbiamo prima capire la responsabilità per le lesioni dovute all’infortunio su chi ricade.

In linea di massima, come ha detto la Cassazione, il titolare della palestra ha l’obbligo di garantire l’incolumità e la sicurezza dei propri clienti. Tecnicamente, si dice che il gestore del centro sportivo ha una posizione di garanzia verso i propri clienti.

Ciò non solo in virtù del generale principio per cui tutti hanno il dovere di non ledere l’altrui sfera giuridica (è il cd. principio del neminem laedere), ma anche in forza dell’art. 2050 c.c. che disciplina la responsabilità per l'esercizio di attività pericolose.

Proprio per questo, il gestore della palestra deve rispettare una serie di obblighi:

  • usare attrezzi e macchinari idonei e assicurare una corretta e regolare manutenzione di tale attrezzatura nel tempo;
  • far sì che gli istruttori, adeguatamente informati, svolgano un’adeguata vigilanza.

Infatti, forse non sapevi che il gestore è responsabile anche rispetto all’operato dei personal trainer del centro sportivo: egli può esserne chiamato a rispondere direttamente ai sensi dell’art. 2049 c.c., secondo cui il padrone è responsabile per i danni causati dai propri dipendenti nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

Detto questo, vediamo l’assicurazione in palestra cosa copre generalmente.

Chiaramente, è fondamentale leggere le condizioni della polizza assicurativa per verificare in concreto cosa copre l’assicurazione.

Al di là di quest’attenzione, forse sto per deluderti. Se pensi che il gestore della palestra sia sempre e comunque responsabile per ogni infortunio verificatosi al cliente nel centro, stai sbagliando.

In linea generale, la polizza assicurativa della palestra risarcisce tutti i danni che il cliente assicurato ha subito per responsabilità del gestore del centro e dei suoi impiegati.

Dunque, se ti fai male in palestra, avrai diritto al risarcimento del danno soltanto a determinate condizioni. Quali?

Si deve analizzare le modalità con cui l’infortunio si è verificato:

  • l’infortunio deve essere accaduto nei locali della palestra;
  • il danno deve essere stato causato dalla negligenza del titolare della palestra (ad esempio, l’inidoneità degli attrezzi utilizzati) o della negligenza dell’istruttore;
  • bisogna guardare anche la condotta del cliente: l’infortunio non deve essere stato provocato dalla negligenza della persona. Se l’incidente è avvenuto per il comportamento imprudente del cliente o a causa di un evento del tutto imprevisto e non imputabile al proprietario o al personale, non ci sarà diritto a un risarcimento.

Pertanto, attenzione in palestra. Non hai sempre diritto al risarcimento per un infortunio. Ogni caso sarà esaminato in modo accurato dalla compagnia assicurativa.


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Gettare mozziconi di sigarette per terra è vietato, proposto divieto di fumare all’aperto: rischi una multa salata

Pubblicato il: 22/09/2023

In italia, vi sono circa 10 milioni di fumatori e, chi fuma lo sa, non è facile smettere. Sono già trascorsi venti anni dall'emanazione della Legge Sirchia, che dal 2003 vieta, a tutela della salute dei non fumatori, di fumare nei locali al chiuso. Per i più giovani, l'idea di fumare in un ristorante o in un bar è qualcosa di impensabile, che hanno visto soltanto nei film più datati.
Il divieto potrebbe essere esteso anche alle aree pubbliche all'aperto, ma per il momento si tratta solo di proposte. Fumare per strada è consentito, e spesso, camminando, si notano mozziconi di sigaretta per terra. Ebbene, c'è da chiedersi se una condotta simile, oltre ad essere contraria al senso civico, sia anche vietata. La risposta è sì. Ma cosa rischia chi getta i mozziconi per terra?

La legge in materia è la Legge 28/12/2015, n. 221, in vigore dal 2016, che prevede disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali. In particolare, l'art. 40 della legge n. 221/2015 apporta modificazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, al titolo dedicato alla gestione di particolari categorie di rifiuti. Viene inserito, difatti, l'art. 232-bis che prevede, da un lato, da parte dei comuni, l'installazione nelle strade, nei parchi e nei luoghi di alta aggregazione sociale appositi raccoglitori per la raccolta dei mozziconi dei prodotti da fumo, nonché l'attuazione di campagne di informazioni da parte di chi produce prodotti da fumo, in collaborazione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze nocive per l'ambiente derivanti dall'abbandono dei mozziconi dei prodotti da fumo. Dall'altro, tale articolo, inserito dall'art. 40 della legge n. 221/2015, vieta l'abbandono di mozziconi dei prodotti da fumo sul suolo, nelle acque e negli scarichi.
È altresì inserito l'art. 232-ter nel decreto legislativo n. 152/2006, relativo al divieto di abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni, quali anche scontrini, fazzoletti di carta e gomme da masticare.

Ma, concretamente, quali sono le sanzioni previste?
Ai sensi dell'art. 255, comma 1bis del decreto n. 152/2006, come modificato dall''art. 40 della legge n. 221/2915, chiunque viola il divieto di cui all'articolo 232-ter è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro trenta a euro centocinquanta. Se l'abbandono riguarda i rifiuti di prodotti da fumo di cui all'articolo 232-bis, la sanzione amministrativa è aumentata fino al doppio.
Quindi, ai sensi di tale norma, nei confronti di chi getta per terra, ma anche nelle acque e negli scarichi, rifiuti di prodotti da fumo, tra cui appunto i mozziconi di sigaretta, può essere comminata una sanzione amministrativa dai 60 ai 300 euro.

Ma non è finita qui! Difatti, gettare i mozziconi di sigaretta può risultare pericoloso ed integrare altresì il reato di getto pericoloso di cose, punito dall'art.674 del Codice Penale. Ai sensi di tale norma, "Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a euro 206."
Al riguardo, anche la Corte di Cassazione ha chiarito che il lancio di mozziconi di sigaretta può integrare tale reato e, in particolare, con sentenza n. 9474/2018 ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di getto pericoloso di cose, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un effettivo nocumento, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone.

Alla luce di ciò, vi consigliamo di non gettare in giro mozziconi di sigaretta. Non solo, infatti, si tratta di un comportamento contrario al senso civico, ma rischiate anche di incorrere in multe o di essere perseguiti penalmente.


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Tiziano Ferro divorzia ma i figli del cantante non possono assolutamente tornare in Italia: perchè? cosa succede?

Pubblicato il: 21/09/2023

Tiziano Ferro divorzia ma resta in America. Nei giorni scorsi l’artista ha annunciato sui social l’inizio della struggente separazione dal marito Victor. I due erano convolati a nozze a Los Angeles nel giugno del 2019 e si erano poi ripromessi amore eterno nella bella Italia, a Sabaudia, il 13 luglio dello stesso anno. E in un momento così delicato, il cantante ha deciso di rinviare tutti i suoi impegni in Italia per stare accanto ai suoi due meravigliosi figli, che attualmente trascorrono la maggior parte del tempo a casa con lui.

In Italia, Margherita e Andres Ferro non ce li può portare perché qui i figli nati all’estero da genitori dello stesso sesso non sono tutelati. Nel giugno scorso l’artista aveva spiegato anche perché non poteva fare il passaporto ai figli: “Oggi, se voglio far entrare i miei figli in Italia, so che avrebbero diritto a metà del presidio genitoriale, anche se ci sono due persone che possono prendersi cura di loro. Se stanno male, solo io posso andare al pronto soccorso perché Victor non risulta sul passaporto, il che è una cosa aberrante”. E prosegue: “Per questo non gli ho ancora fatto il passaporto italiano anche se ne hanno diritto, forse lo farò più avanti, o lo faranno loro. Tanto a farli entrare in Italia col passaporto italiano avrebbero solo svantaggi, mentre da americani son tranquillo, so che se vengo in tour Victor può prendersi cura di loro… è una cosa che può sembrare stupida, e invece mi fa soffrire da morire”.

Il cantante non ha mai spiegato come ha fatto a diventare padre. L’ipotesi più probabile è che i due coniugi siano ricorsi alla maternità surrogata.

Sai cos’è?
Si tratta di una pratica con cui una donna si obbliga, gratuitamente o dietro compenso, a portare avanti una gravidanza per conto dei genitori intenzionali. La madre surrogata si impegna anche a rinunciare a qualsiasi diritto sul bambino che darà alla luce, il quale subito dopo la nascita verrà affidato ai genitori committenti. È con essi che si instaurerà il rapporto di filiazione.
In Italia la procedura è sanzionata penalmente a norma dell’art. 12 comma 6 l. 40/2004. Si rischia da tre mesi a due anni di reclusione e la multa da 600.000 a 1 milione di euro.
E così molte coppie che desiderano un figlio e per le quali l’utero in affitto rappresenta l’unica strada per poter diventare genitori (si pensi alle coppie formate da due uomini) si recano all’estero, nei Paesi ove tale pratica è permessa.

E che ci vuole, penserete voi. Siete gay e volete un figlio? Vai all’estero dove la gestazione per altri è concessa, trova la madre surrogata e taac il gioco è fatto. Poi però quando si ritorna in Italia son cavoli amari. Già perché i bambini nati all’estero con la maternità surrogata da due padri gay possono sì essere riconosciuti in Italia come figli di entrambi i genitori dello stesso sesso ma tramite l’istituto dell’adozione in casi particolari. Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza n. 38162 del 2022. Le Sezioni Unite hanno stabilito che per il riconoscimento dei figli nati all’estero con maternità surrogata non verrà più utilizzata la trascrizione diretta all’anagrafe dell’atto di nascita straniero, riconoscendo la paternità sia al padre biologico che al partner, ma si dovrà utilizzare l’istituto dell’adozione in casi particolari. Dovrà quindi essere aperto davanti al tribunale dei minori un procedimento di adozione, durante il quale il genitore che non ha legami di sangue con il minore dovrà dimostrare l’esistenza di un legame di filiazione con il figlio. Una procedura infinitamente costosa e infinitamente lunga, durante la quale il bambino rischia di ritrovarsi con un solo genitore, quello biologico. L’altro deve mettersi in fila e aspettare che la giustizia italiana faccia il suo corso per vedersi riconosciuto il legame con il figlio e se vuole prendere qualche decisione avrà bisogno della delega del genitore di sangue. Ma non finisce qua perché la stepchild adoption non dà vita ad una genitorialità piena. Si consideri che il genitore intenzionale non ha diritti successori nei confronti del figlio e che l’adozione può essere revocata.

Ritornando al caso di Margherita e Andres, gli scenari che si prospettano sono due. Qualora Ferro sia il genitore biologico dei due bambini, il cantante potrebbe portarli in Italia e chiedere la trascrizione del certificato di nascita estero. E nessun problema. In caso contrario, per vedersi riconosciuto come padre dei figli, Tiziano dovrebbe ricorrere all'adozione in casi particolari, affrontando tutta la trafila e sobbarcandosi tutte le peripezie che la procedura reca con sé. E nel frattempo quale tutela avrebbero quei poveri bambini? Non me lo so spiegare. Io non me lo so spie-ga-re.


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Pubblicare foto di scontrini di ristoranti sui social potrebbe costarti caro: fai attenzione alle recensioni negative che lasci

Pubblicato il: 21/09/2023

In quest’estate sembra essere esplosa la moda di pubblicare su internet (non solo sui social network come Facebook, ma anche su piattaforme come Tripadvisor) la foto dello scontrino quando il conto è ritenuto “troppo salato” o quando si nota l’aggiunta di un supplemento per un servizio. A tal riguardo, ha fatto scalpore l’episodio del toast tagliato a metà: i clienti di un bar nel comasco si sono visti addebitare due euro in più per il servizio di “taglio”. Dopo l’accaduto, è stata caricata una recensione su Tripadvisor e la foto dello scontrino è stata diffusa sui social network.

Al di là dell’indignazione per una spesa eccessiva, fare una recensione negativa su internet, pubblicando anche la foto dello scontrino incriminato, configura un reato? In questo caso, si può parlare di diffamazione? Vediamo insieme.

Innanzitutto, devi sapere che la diffamazione c’è quando un soggetto, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. L’art. 595 c.p. punisce questo comportamento con la pena della reclusione fino ad un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Nel caso di diffamazione tramite internet, la pena applicata è più grave ed è quella reclusione da sei mesi a tre anni o della multa a partire da 516 euro.

Secondo te, si può diffamare un soggetto con una fotografia?

La risposta è sì. La giurisprudenza ha precisato che si può diffamare una persona anche con una foto, ma la foto può considerarsi “diffamatoria” quando trae in inganno il lettore.

Pertanto, deve ritenersi che pubblicare su internet la foto dello scontrino di un conto salato non costituisce, di per sé, un reato quando questa fotografia non tenda a far equivocare la realtà dei fatti.

Tuttavia, il problema è che spesso queste foto sono accompagnate da un commento negativo.

Allora, fare una recensione negativa su internet sul servizio di un locale o su un conto troppo alto non è reato. Questo perché, come detto dalla giurisprudenza, in linea generale, il proprietario di un locale o l’esercente, operando sul mercato, accetta anche il rischio che i propri servizi non vengano apprezzati e siano criticati.

In particolare, non c’è diffamazione se il commento rispetta i principi di verità, di pertinenza e di continenza dei fatti raccontati. Che significa?

Forse non sai che il reato di diffamazione viene escluso quando un soggetto esercita il proprio diritto di critica, tutelata dall’art. 21 Cost. (come libertà di manifestazione del pensiero). E la giurisprudenza ricomprende anche la libertà di “valutazione” e di “recensione”. Quindi, non si commette reato nell’esprimere considerazioni critiche sui servizi offerti da un locale.

Però, come detto, la critica deve rispettare tre principi:

  • la verità del fatto narrato. Il fatto contestato deve essere realmente accaduto;
  • l’accaduto deve essere di interesse pubblico. La Cassazione (sent. n. 3148 del 2019) ha precisato che, nel caso di critiche ai prezzi attuati da un locale, sussiste un interesse pubblico derivante dal fatto che si parla di un esercizio commerciale aperto al pubblico;
  • la continenza verbale. Si deve utilizzare un linguaggio ingiustamente aggressivo o infamante nei confronti del proprietario del locale o dell’esercente. In tal caso, la recensione lederebbe la dignità e la reputazione del soggetto offeso nella sua sfera personale e morale.

Invece, devi fare attenzione: la verità su un fatto non esclude la diffamazione quando la recensione si concretizza non in una descrizione asettica (anche se negativa) dell’accaduto, ma in un commento offensivo nei confronti della persona del gestore del locale.
In questo caso, recensire negativamente un locale (anche con pubblicazione di foto dello scontrino a riprova di quanto detto) ti esporrebbe al rischio di una querela e di un procedimento penale.


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Multa per eccesso di velocità, ma qual’è la vera tolleranza degli autovelox 5km/h o 5%? Sfatiamo un altro mito

Pubblicato il: 20/09/2023

Sei convinto di aver preso una multa per eccesso di velocità dopo aver sfrecciato davanti ad un autovelox e invece non hai ricevuto alcun verbale. Se non immagini perché, devi sapere che il Codice della strada stabilisce limiti di velocità massima, ma prevede anche un margine di tolleranza quando la velocità viene rilevata da strumenti elettronici. Vediamo in particolare quali sono le soglie di tolleranza degli autovelox.

Devi sapere che l’art. 142 Cod. strada pone limiti di velocità massima. In linea generale, in base alla strada, ci sono questi limiti di velocità:

  • 50 km/h nei centri abitati;
  • 90 km/h per strade extraurbane secondarie ed extraurbane locali;
  • 110 km/h per strade extraurbane principali;
  • 130 km/h per autostrade.

Poi, l’art. 142 Cod. strada stabilisce anche dei limiti specifici per particolari categorie di conducenti (ad esempio, per i neopatentati, il limite di velocità in autostrada è 110 km/h), determinati tipi di veicolo (ad esempio, i ciclomotori non possono superare i 45 km/h) e situazioni particolari (per esempio, nel caso di cantiere aperto per lavori in corso, il limite deve essere almeno di 30 km/h, salvo casi eccezionali).

Se superi questi limiti, c’è eccesso di velocità.

Questa violazione è punita con sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro (art. 142 Cod. Strada). Oltre alla multa, c’è anche la decurtazione dei punti dalla patente. La sanzione aumenta al crescere della violazione:

  • per l’eccesso fino a 10 km/h, la multa è tra 42 e 173 euro;
  • per l’eccesso tra 10 e 40 km/h, la multa va da 173 a 694 euro con la decurtazione di 3 punti dalla patente;
  • per l’eccesso tra 40 e 60 km/h, la multa è tra 543 e 2.170 euro con decurtazione di 6 punti dalla patente;
  • per l’eccesso oltre 60 km/h, la multa va da 845 a 3.382 euro e si ha la decurtazione di 10 punti dalla patente.

Le sanzioni pecuniarie aumentano di un terzo se la violazione avviene nelle ore notturne (dalle 22.00 alle 07.00).

Tuttavia, l’art. 345 Reg. att. Cod. Strada prevede un margine di tolleranza nel caso di rilevamento della velocità con strumenti elettronici come l’autovelox.

Qual è il margine di tolleranza degli autovelox?

Fino a 100 km/h, c’è la tolleranza di 5 km/h. Invece, sopra i 100 km/h, la tolleranza è pari al 5% della velocità massima. In sintesi:

  • nei centri abitati con limite di velocità a 50 km/h, c’è la tolleranza di 5 km/h: la multa arriva quando si corre da 56 km/h in su;
  • per strade extraurbane secondarie ed extraurbane locali con limite massimo di velocità a 90 km/h, c’è la tolleranza di 5 km/h: sotto i 95 km/h, non si rischia la multa;
  • per strade extraurbane principali con limite di velocità a 110 km/h, c’è tolleranza di 6 km/h (il 5% di 110 km/h è 5,5 km/h e, approssimato per eccesso, va a 6 km/h): puoi essere sanzionato se vai oltre i 116 km/h;
  • in autostrada con limite a 130 km/h, la tolleranza è di 7 km/h (il 5% di 130 km/h è 6,5 km/h che, approssimato per eccesso, arriva a 7 km/h): c’è violazione quando si va oltre i 137 km/h.

L’art. 345 Reg. att. Cod. Strada precisa che la tolleranza si calcola così: al valore rilevato deve essere applicata la riduzione con la tolleranza. Ad esempio, in centro abitato vai a 54 km/h: da questo valore devi sottrarre 5 km/h di tolleranza e, quindi, la tua velocità rientra nel limite perché è pari a 49 km/h.

Però, ricorda che, tolleranza o meno, devi sempre rispettare i limiti massimi di velocità per la sicurezza tua e degli altri.


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Patrimonio di Battisti, guerra in Tribunale tra la moglie e Mogol: la curiosa richiesta di risarcimento per perdita di chance

Pubblicato il: 20/09/2023

Sono passati venticinque anni dalla morte di Lucio Battisti, che ci ha lasciati nel settembre del 1998, eppure la battaglia legale avente ad oggetto il patrimonio del cantautore non sembra arrestarsi. Pare che il patrimonio musicale dell'artista sia stimato attorno ai 16 milioni di euro, una cifra considerevole. Quando in ballo ci sono grandi quantità di denaro, si finisce spesso in Tribunale. Ma per cosa si danno battaglia gli eredi di Lucio Battisti, da un lato, e Giulio Rapetti, in arte Mogol, dall'altro?
Prima di tutto, è importante sapere che Grazia Letizia Veronese, moglie di Battisti, e il figlio Luca Carlo Filippo, in seguito alla morte del cantautore, hanno deciso di non autorizzare la diffusione della sua musica, ad eccezione che per vinili e cd. In particolare, un divieto di utilizzarla per fini pubblicitari, ma anche per colonne sonore, omaggi, festival e altre finalità del genere. Il tutto, per seguire quelli che erano i desideri dell'artista.

Per quanto riguarda la fruttuosa collaborazione tra Battisti e Mogol, questa si è interrotta nel 1980, e da quel momento fu proprio la moglie ad occuparsi dei suoi testi. Insieme, Mogol e Battisti fondarono la società Acqua Azzurra, dal nome della celebre canzone, oggetto di scontro tra gli azionisti: la Veronese e il figlio, che detengono la maggioranza, con il 56%, tramite la società Aquilone s.r.l., la Universal Music, con il 35%, e Mogol con il 9%.
Per quanto riguarda i contenziosi in atto, il paroliere, nel 2013, intentò un giudizio nei confronti della Veronese, chiedendo un risarcimento per perdita di chance. In particolare, Mogol lamentava che, a causa del veto posto dalla moglie del cantautore sull'utilizzo della sua musica, aveva perso una possibilità di guadagno, e chiedeva di essere risarcito per una somma pari ad 8 milioni di euro. Ma che cos'è la perdita di chance?
Per chance si intende, anche secondo i dettami della giurisprudenza, una concreta occasione favorevole di conseguire un determinato bene della vita. Rappresenta un’entità patrimoniale, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione, patrimonialmente risarcibile.
Il danno da perdita di chance consiste quindi in un pregiudizio derivante non da una mera aspettativa di fatto, ma dal venir meno della possibilità di conseguire un determinato vantaggio economico. La perdita di tale occasione determina un danno che, se provato, è risarcibile.

Ebbene, nel 2016, il Tribunale ha dato ragione a Mogol, in particolare dichiarando l'inadempimento della società Acqua Azzurra, di cui la Veronese era amministratore unico e socia di maggioranza, ai contratti di edizioni conclusi con il paroliere, e condannandola quindi a risarcirgli 2,6 milioni di euro, a fronte degli otto milioni domandati.
In seguito a tale sentenza di condanna, la società fu messa in liquidazione, e il Tribunale concesse al liquidatore il potere di concedere licenze di sfruttamento economico del repertorio di Battisti, anche online. Fino al settembre del 2019, difatti, non era possibile trovare, ad esempio, le canzoni del cantautore su Spotify.

Ma non è tutto! Difatti, nel 2017, anche la Sony Music ha intentato una causa analoga contro gli eredi Battisti, lamentando che questi ultimi avevano revocato il mandato alla Siae per l'utilizzazione online della musica dell'artista, ostacolando altresì la possibilità di utilizzare le registrazioni delle canzoni a scopo pubblicitario. In questo caso, però, sia il Tribunale che la Corte d'appello hanno dato ragione agli eredi, rigettando la richiesta di risarcimento di 8,5 milioni di euro.
Tale decisione dei giudici milanesi è stata, naturalmente, accolta positivamente dal legale della famiglia, che ha evidenziato che tale pronuncia ha chiarito che i contratti erano stati stipulati dall'artista più di cinquant'anni fa e non permettevano, senza l'attuale consenso di eredi o editori, l'utilizzo, online o nelle pubblicità, delle registrazioni fonografiche delle interpretazioni di Battisti. Inoltre, l'Avvocato Veneziano ha evidenziato che, se fosse stata accolta la domanda della Sony, sarebbero state le discografiche a decidere sulle opere musicali e non gli autori stessi, o i loro editori. Inoltre, sempre come evidenziato dal legale, gli eredi non erano stati ritenuti responsabili della violazione di obblighi di diligenza nei confronti della discografica.

Ma i contenziosi che coinvolgono il patrimonio dell'artista sembrano non essersi conclusi qui! Difatti, come ha reso noto la Veronese, Mogol avrebbe intentato una nuova causa contro di lei, sempre per perdita di chance. Il giudizio sarebbe stato appena avviato; quindi, per saperne di più, non ci resta che attendere.


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Eredità Leonardo Del Vecchio, lite tra gli eredi per la tassa di successione: alcuni particolari rischiano di complicare le cose

Pubblicato il: 19/09/2023

Quando si parla di successioni ed eredità, anche nelle migliori famiglie possono nascere litighi ed incomprensioni. Ne sanno qualcosa gli eredi di Leonardo Del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica e presidente esecutivo di EssilorLuxottica.

A quasi un anno e mezzo dalla morte dell’imprenditore, sebbene ognuno degli otto eredi abbia acquisito una quota del 12,5% del capitale della Delfin (la società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità della famiglia Del Vecchio), restano ancora degli aspetti legati al testamento da risolvere. Aspetti che hanno portato gli eredi ad affidare la questione ai propri legali.

Tra i punti irrisolti, si discute su chi debba far fronte alla tassa di successione, che è l’imposta riferita ai beni ricevuti in eredità da una persona. In particolare, la famiglia si è spaccata perché non si riesce a trovare una soluzione per la divisione delle imposte di successione sul passaggio delle quote di Essilux al ceo Milleri (si tratta dell’assegnazione di 2,15 milioni di azioni per un valore di 270 milioni di euro) e al manager Bardin (22.000 di azioni). La quota, posta a carico degli eredi, è calcolata all’incirca in 110 milioni.
Degli otto eredi dell’imprenditore, sei sono i figli Claudio, Maria e Paola (avuti dal primo matrimonio con Luciana Nervo), Leonardo Maria (figlio unico avuto con Nicoletta Zampillo), Luca e Clemente (nati dall'unione con la compagna Sabina Grossi). Quattro di questi non sono d’accordo.

Il contrasto tra gli eredi è aperto: ci sono tesi diverse su come pagare le imposte per il passaggio delle quote.

E tu sai cosa stabilisce la legge in questi casi?

Quando ci sono più eredi (come nella vicenda Del Vecchio), chi deve pagare le imposti sulla successione? In linea generale, tutti gli eredi devono pagare le tasse sulla successione.

E sai quanto deve versare ciascun erede? L’imposta si calcola, applicando aliquote che cambiano in base al grado di parentela: nel caso dei figli, essi pagano il 4% del valore dei beni ricevuti con una franchigia di 1 milione di euro (la franchigia è la parte di patrimonio su cui si calcola l’imposta di successione).

Tuttavia, nel caso degli eredi Del Vecchio, la situazione si complica un po’. Tra i quattro figli che sono in disaccordo, due hanno accettato l’eredità con beneficio di inventario. Si tratta di Luca e Clemente Del Vecchio.

Allora, cambia qualcosa se qualcuno degli eredi accetta con beneficio di inventario? La risposta è no. Devi sapere che dovrà pagare anche l’erede che ha accettato con beneficio di inventario: questo perché comunque si considera “erede”. Al contrario, non dovrà pagare colui che rinuncia all’eredità (perché, ovviamente, non può ritenersi un “erede”).

Un accordo tra gli eredi è necessario. Sai perché? Perché, se uno di loro non paga la propria parte, potrebbero essere dolori per tutti gli altri.
Infatti, quando uno degli eredi non paga la propria parte di imposta di successione, l’Agenzia delle Entrate potrà rivolgersi a tutti gli altri eredi per chiedere il versamento dell’importo (importo maggiorato perché, oltre alla somma non pagata, devi calcolare anche gli interessi, la sanzione per omesso versamento e l’aggio della riscossione).

Con un linguaggio tecnico, si dice che tutti gli eredi hanno una responsabilità solidale nei confronti del fisco: ossia, per ottenere la parte non versata dall’erede inadempiente, l’Agenzia delle Entrate può chiedere l’intero pagamento del dovuto a ciascuno degli altri eredi.
C’è un’eccezione: se l’erede ha accettato l’eredità con beneficio di inventario (come i due figli di Del Vecchio), questo è obbligato in solido nei limiti della propria quota.

Però, l’erede, che ha pagato oltre la quota di sua competenza, potrà agire nei confronti dell’erede inadempiente per ottenere il rimborso di quanto pagato in più.

Bisognerà vedere se ritornerà la pace in famiglia e se gli eredi di Del Vecchio, attraverso i rispettivi avvocati, riusciranno a trovare un punto di accordo e risolvere la questione.


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