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Condominio: fotografare le auto in sosta č reato?

Condominio: fotografare le auto in sosta č reato?
La Cassazione Penale ha deciso il caso di un uomo che aveva scattato foto a un’auto parcheggiata: assoluzione o condanna?
La convivenza in condominio, come sappiamo, non è sempre pacifica: spesso, anzi, dà origine a litigi e controversie che non rimangono solo nel campo del diritto civile, ma sfociano addirittura in denunce penali.
Ne è un esempio il caso affrontato da una recente sentenza della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, la n. 18744/2023.
Riassumiamo in breve i fatti.
Un uomo era stato tratto a giudizio per il reato di molestie, previsto dall’art. 660 del c.p..
All’imputato, in particolare, si contestava di aver causato molestia e disturbo ad altri condomini dello stabile in cui abitava, fotografando la loro autovettura con i due figli minori all'interno.
Il Tribunale aveva assolto l’imputato per particolare tenuità del fatto, possibilità prevista dall’art. 131 bis del c.p..
Contro la sentenza l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione.

Va premesso che il reato di molestie è una contravvenzione, prevista dall’art. 660 c.p, che punisce il comportamento di chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero per mezzo del telefono, arreca ad altri “molestia o disturbo”.
La norma precisa che la molestia deve essere causata “per petulanza o per altro biasimevole motivo”.
Il reato è procedibile a querela della persona offesa e la pena prevista è l'arresto fino a sei mesi o - in via alternativa - l'ammenda fino a euro 516.

Ma torniamo alla sentenza della Cassazione n. 18744/2023.
La Suprema Corte ricorda, innanzitutto, che la contravvenzione di molestie o disturbo alle persone, prevista all'art. 660 c.p., può presentarsi come reato abituale (cioè, deve esservi una condotta ripetuta nel tempo), ma può anche essere commessa per mezzo di una sola azione.
Infatti - sottolinea la Corte - il reato di molestia di cui all'art. 660 cod. pen. non è necessariamente abituale, per cui può essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia.
Deve trattarsi, però, di un’azione “ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri”.
Inoltre, se l'azione molesta è unica, perché sussista il reato tale azione “deve necessariamente essere particolarmente sintomatica dei requisiti previsti dalla norma incriminatrice”.
Ciò significa che, per risultare molesto, il comportamento deve non soltanto risultare sgradito a chi lo riceve, ma anche essere ispirato da un motivo biasimevole, vale a dire riprovevole.
Oppure, in alternativa, l'atto per essere molesto deve rivestire il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri.

Sulla base di tali principi la Suprema Corte ha, appunto, deciso il caso di cui ci occupiamo.
Infatti la Cassazione ha, in primis, escluso l'abitualità della condotta, perché all’imputato veniva contestato un unico episodio di molestie. Inoltre, lo stesso Tribunale aveva già giudicato non abituale il comportamento dell’imputato.
Ora, facendo applicazione dei criteri che abbiamo illustrato poco fa, la Cassazione ha escluso anche che il comportamento dell’imputato fosse caratterizzato da un “biasimevole motivo”.
Infatti, l’uomo aveva scattato le foto dell'autovettura delle persone offese perché essa era ferma in area in cui la sosta era vietata, per segnalare il comportamento scorretto all'amministratore del condominio.
Anzi, dal dibattimento svoltosi di fronte al Tribunale era emerso che in precedenza, sia l’imputato sia altri condomini aveva scattato simili fotografie, proprio perché nel condominio accadeva spesso che i veicoli venissero parcheggiati in aree in cui la sosta non era consentita.
Pertanto, la Corte ha concluso che non esistessero gli elementi costitutivi del reato di molestie e ha annullato senza rinvio la sentenza del Tribunale, pronunciando l’assoluzione dell’imputato con formula piena “perché il fatto non sussiste”.


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