IMU prima casa, devo pagarla se ci abito ma non ho la residenza? Ecco il chiarimento della Cassazione

Pubblicato il: 05/09/2024

Con l’ordinanza n. 19684 del 17 luglio 2024, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di una questione spesso dibattuta: quella del rapporto tra esenzione dall’IMU (Imposta Municipale sugli Immobili) e residenza anagrafica. In particolare, il punto era questo: ai fini dell’esenzione dall’IMU è necessario stabilire la propria residenza nell’immobile o è sufficiente la c.d. dimora?
Prima di proseguire, però, è opportuna una brevissima premessa sulle definizioni di residenza e dimora, così come risultanti dal codice civile.
Più precisamente, l’art. 43 del c.c. prevede i concetti di domicilio, dimora e residenza:
  • il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi;
  • la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.
La residenza anagrafica è quella che risulta dai registri di anagrafe della popolazione residente, tenuti presso ciascun Comune. Infatti l’art. 2 della L. 1228/1954 prevede l'obbligo di iscrizione all’anagrafe del Comune in cui si ha la dimora abituale.
Vediamo, dunque, qual era la vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte e in che modo gli Ermellini hanno risposto.
Un contribuente aveva impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria gli avvisi di accertamento per omesso versamento dell'IMU (relativa agli anni 2014 e 2015), ma si era visto respingere il ricorso sia in primo che in secondo grado, in quanto non aveva stabilito la residenza anagrafica presso l’immobile oggetto di accertamento.
Il contribuente non desisteva e proponeva, anzi, ricorso per Cassazione.
Nella pronuncia che ci accingiamo a esaminare, la Suprema Corte riassume, innanzitutto, il dettato normativo: ovvero l'art. 8, comma 3, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 ("Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale"), secondo cui "l'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale ed alle pertinenze della stessa. Si intende per effettiva abitazione principale l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.
Ora, secondo la Cassazione, due sono gli aspetti che emergono dalla normativa attuale:
  1. innanzitutto, l'abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto; in sostanza, il contribuente non può usufruire delle agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario;
  2. in secondo luogo – e arriviamo finalmente all’oggetto specifico del presente articolo – “per abitazione principale si deve intendere l'immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente; in altri termini, il legislatore ha innanzitutto voluto collegare i benefici dell'abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare e, in secondo luogo, ha voluto unificare il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale, individuando come abitazione principale solo l'immobile in cui le condizioni previste dalla norma sussistono contemporaneamente, ponendo fine alle problematiche applicative che sulla questione avevano interessato l'ICI (in termini: Cass., Sez. 5°, 17 giugno 2021, n. 17408; Cass., Sez. 6°-5, 13 gennaio 2022, n. 893; Cass., Sez. 6°-5, 17 gennaio 2022, n. 1199; Cass., Sez. 5°, 20 febbraio 2024, n. 4530)”.
La Suprema Corte fa notare, poi, che non risulta, invece, espressamente disciplinato il caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi, situati in differenti Comuni.
Ci riferiamo qui al caso di coniugi non separati legalmente: ciò comporta, secondo la Corte, che “il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed autonoma rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l'abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della "abitazione principale" del suo nucleo familiare”. Questo per evitare – spiega la Cassazione – che si possa godere due volte dei benefici spettanti per l’abitazione principale, stabilendo fittiziamente dimora o residenza in un luogo diverso da quello dell’altro coniuge.
In pratica, dunque, “non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell'ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi”: a un unico nucleo familiare corrisponde un’unica abitazione principale.
Diverso è il caso (precisa la Corte) di una separazione di fatto tra i coniugi, ovvero di una “frattura del rapporto di convivenza”, anche se non ancora formalizzata dinanzi a un giudice o, comunque, nelle forme stabilite dalla legge: qui infatti si ha una vera e propria “disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l'abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale”.
Concludendo: secondo la Cassazione, per “abitazione principale”, ai fini IMU, deve intendersi quella in cui il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato:
1) la residenza (accertabile tramite i registri dell'anagrafe), e
2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell'anno).

Pertanto, il contribuente può usufruire dell'agevolazione prevista per l'abitazione principale solo se, presso l'immobile interessato, ha fissato la residenza anagrafica.


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