Ecco come ottenere un rimborso dal Fisco anche quando si rifiuta: interviene la Cassazione e fornisce indicazioni

Pubblicato il: 22/11/2023

In Italia – purtroppo – è noto a tutti l’ammontare di tasse, imposte e simili a cui sono sottoposti sia cittadini che imprese, tali da rendere la pressione fiscale una montagna (quasi) insormontabile.
Talvolta, poi, può anche accadere di versare somme in eccesso rispetto a quanto effettivamente dovuto.
Ed è proprio in questi casi che sorge il diritto del contribuente di chiedere al Fisco il rimborso delle imposte pagate e non dovute o versate in eccesso.

Ma, quali sono i casi in cui è possibile chiedere il rimborso?

Il contribuente può chiedere il rimborso delle somme versate ogni qualvolta che (i) il pagamento sia stato effettuato per errore materiale, (ii) sia intervenuta una duplicazione del medesimo pagamento oppure (iii) in caso di inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento.

Esiste un termine per chiedere il rimborso?

Ebbene sì, esiste un termine previsto a pena di decadenza, decorrente dal momento in cui l’erroneo pagamento è stato effettuato.
In particolare, detto termine è di:
48 mesi per imposte sui redditi, versamenti diretti, ritenute operate dal sostituto d’imposta e ritenute dirette operate dallo Stato o altra Pubblica Amministrazione
36 mesi per le imposte indirette (come, ad esempio, registro, donazioni, successioni ecc.).

Cosa fare per ottenere il rimborso delle somme versate ma non dovute?

Il primo passo per il contribuente è quello di presentare apposita istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.

L’istanza deve essere redatta su carta semplice e deve obbligatoriamente indicare l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente, le informazioni anagrafiche dell’istante, una breve descrizione dei fatti che hanno dato origine al credito di cui si chiede il rimborso e l’ammontare del relativo importo.
In ogni caso, sarà opportuno allegare all'istanza anche copia della documentazione idonea a dimostrare la fondatezza della richiesta.

La domanda di rimborso, una volta sottoscritta, dovrà essere inoltrata all’Ufficio competente. L’invio potrà avvenire tramite p.e.c., posta ordinaria oppure potrà essere presentata direttamente allo sportello dell’Ufficio.

Una volta presentata la domanda, l'Agenzia dovrebbe riscontrare la richiesta del contribuente entro 90 giorni.

In caso di accoglimento, il Fisco procederà al riaccredito delle somme in favore del contribuente una volta avuta comunicazione delle relative coordinate bancarie o postali.

E se, invece, l'istanza venisse rigettata?

In caso di rigetto dell'istanza oppure l’Ufficio non risponda entro 90 giorni dall’inoltro della stessa (profilandosi l’ipotesi di cd. “silenzio rifiuto”), il contribuente potrà presentare istanza di reclamo/mediazione o, alternativamente, ricorrere alla Commissione Tributaria.

È fondamentale tener presente che, sia in caso di istanza di reclamo/mediazione, sia di ricorso alla Commissione Tributaria, l’onere della prova grava in capo al contribuente.

Tanto è stato precisato anche dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25859 del 5 settembre 2023.

In tesi, infatti, secondo il disposto dell’art. 6, comma 4, della L. 212/2000 (cd. Statuto del contribuente) l’Amministrazione finanziaria non potrebbe (ri)chiedere al contribuente documenti ed informazioni già in possesso della stessa Amministrazione o di altre P.A. indicate dallo stesso contribuente.

Tuttavia, secondo l'ordinanza in commento, la richiesta avanzata dall’Agenzia di produrre (tutta) la documentazione idonea ad attestare il diritto al rimborso non comporta alcuna ricaduta sulla ripartizione dell’onere probatorio, che rimane a carico del solo contribuente.

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Permessi Legge 104, raddoppiano se assisto due familiari disabili? Ecco quando si cumulano e come fare domanda all’INPS

Pubblicato il: 22/11/2023

La Legge n. 104 del 1992 stabilisce una serie di agevolazioni per i disabili. Tra questi benefici, la legge riconosce al lavoratore disabile o al lavoratore che assiste un familiare disabile la possibilità di usufruire dei cd. permessi 104.

I permessi 104 sono permessi retribuiti: cioè, riposi di due ore o di un’ora al giorno (a seconda se l’orario di lavoro è o meno di almeno di sei ore giornaliere) oppure riposi di tre giorni al mese, continuativi o anche divisi.

Come detto, i permessi 104 spettano non solo al lavoratore dipendente disabile, ma anche al lavoratore che presta assistenza ad un familiare disabile.

Ma cosa succede se ci sono due persone con disabilità in famiglia? I permessi 104 possono essere raddoppiati? Vediamo cosa stabilisce la legge.

Innanzitutto, hanno diritto ai permessi 104 i lavoratori che sono genitori di figli disabili gravi. Stesso diritto hanno anche i lavoratori che sono coniuge, partner dell’unione civile o convivente more uxorio (cioè, convivente di fatto) di disabile grave.
Inoltre, i permessi retribuiti possono essere riconosciuti anche ai lavoratori parenti e affini entro il secondo grado di familiari disabili gravi. Questa possibilità c’è anche per i lavoratori che sono parenti e affini entro il terzo grado del disabile, ma soltanto quando i genitori o il coniuge della persona disabile hanno compiuto 65 anni o soffrono di patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Però, è possibile raddoppiare i permessi 104 quando il lavoratore deve assistere più familiari con grave disabilità? La risposta è sì, ma con delle precisazioni da fare.

La legge (art. 33, comma 3 della Legge n. 104 del 1992) stabilisce che, in questo caso, il lavoratore può cumulare i permessi 104. Quindi, egli può usufruirne per dare assistenza a più familiari disabili. Tuttavia, tale possibilità c’è solo a determinate condizioni:

  • il lavoratore deve essere genitore, coniuge, partner dell’unione civile o convivente more uxorio del disabile grave o, comunque, deve essere un suo familiare od affine entro il primo grado. Invece, il cumulo dei permessi per familiari e affini entro il secondo grado è permesso, ma solo se solo i genitori o il coniuge del parente hanno compiuto i 65 anni, sono deceduti o sono affetti da patologie invalidanti;
  • l’assistenza da parte del lavoratore al secondo disabile deve essere indispensabile: cioè, non devono esserci altre persone che possono assistere il disabile;
  • l’assistenza ai disabili va garantita con modalità e tempestiche diverse: ciò significa che, se il lavoratore può contemporaneamente assistere i due familiari disabili, allora non ci sarà alcun raddoppio dei permessi.

Peraltro, i permessi 104 possono raddoppiare anche nel caso del lavoratore disabile che deve prestare assistenza ad un familiare con disabilità grave. È proprio l’INPS, con un proprio messaggio del 30 dicembre 2011, a precisarlo. C’è soltanto una condizione: è necessario che il lavoratore disabile sia in grado di assistere il proprio familiare e che la sua assistenza sia indispensabile (perché non si sia nessun altro che possa farlo al posto suo).

Resta solo da dire un’ultima cosa: come fare per raddoppiare i permessi 104?

Bisogna presentare all’INPS una domanda per ogni familiare per il quale si chiedono i permessi: se devi assistere due familiari disabili, dovrai presentare due domande. E, con la domanda, si deve presentare anche questa documentazione: le certificazioni relative alla disabilità e una dichiarazione di responsabilità sui motivi per cui l’assistenza separata ai due familiari disabili è indispensabile.

Peraltro, queste domande vanno inviate anche al datore di lavoro. Attenzione: non è obbligatorio farlo perché il datore non decide sulla concessione dei permessi, ma è comunque consigliabile in quanto il datore potrebbe voler programmare con il lavoratore i riposi.


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Legge carne sintetica, il Governo la vieta e l’Europa ce la ripropone in tavola

Pubblicato il: 21/11/2023

La Camera approva il disegno di legge che vieta la produzione e distribuzione della carne coltivata in Italia. Più precisamente si tratta di carne prodotta in laboratorio attraverso colture cellulari o tessuti di animali vertebrati.
La proposta di legge, che è passata con 159 voti favorevoli, 53 contrari e 34 astenuti arriverà presto sul tavolo del presidente della Repubblica per essere promulgata. L’Italia diventa il primo Paese in Europa ad introdurre ufficialmente il divieto di alimenti sintetici. Per il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, si tratta di una battaglia "a difesa della salute dei cittadini, del nostro modello produttivo, della nostra qualità, della nostra cultura, semplicemente la nostra sovranità alimentare".

Di tutt’altra opinione sono i sostenitori della cd. ”carne sintetica”, i quali rimarcano che questo innovativo prodotto potrebbe soddisfare la crescente domanda di carne nel mondo in modo sostenibile, riducendo notevolmente l’impatto ambientale. Infatti, com’è già risaputo da tempo, l’industria della carne è responsabile del 16% delle emissioni di gas serra a livello globale. Quindi, l’uso di carne sintetica si rivelerebbe una scelta sicuramente più ecologica per il nostro pianeta nonché un’alternativa possibile alla carne prodotta dagli allevamenti intensivi. Insomma la lotta tra sostenitori della carne sintetica e gli oppositori è tutt’altro che giunta al termine.

Ma cosa vieta il Governo?
Il provvedimento normativo, composto da 7 articoli, prevede un generale divieto di produzione, utilizzo e immissione sul mercato di alimenti sintetici per gli operatori del settore alimentare (OSA) e dei mangimi. Dove per cibo sintetico si intendono alimenti, bevande e mangimi prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati.

Il DDL proibisce anche il ricorso a “nomi ingannevoli” per il consumatore, per i cibi sintetici derivati da proteine vegetali. Difatti, si vuole porre un veto categorico all’uso della denominazione "carne" per tutti i prodotti a base vegetale trasformati in laboratorio.
In pratica, ciò significa che non potremo più vedere nei supermercati le scritte: hamburger di tofu, bistecca di soia, mortadella vegetale, bresaola di seitan e così via. Uno stop perentorio al cosiddetto “meat sounding”, a tutela del consumatore e degli acquisti consapevoli.

Multe salate per i trasgressori
Sono previste, inoltre, multe salate per tutti gli operatori del settore alimentare e del comparto mangimi che disattendono la normativa.
Tra le sanzioni si prevedono:

  • confisca della merce;
  • sanzione amministrativa pecuniaria dai 10mila euro ai 60mila euro, o del 10 per cento del fatturato totale annuo realizzato nell’ultimo esercizio quando tale importo è superiore a 60mila euro. In ogni caso, la sanzione massima non potrà superare i 150mila euro;
  • chiusura dello stabilimento di produzione da uno a tre anni. In tale periodo, inoltre, i soggetti sanzionati non potranno usufruire di finanziamenti o contributi pubblici dello Stato o dell’UE.
Possibile stop dall’Unione Europea
Il Divieto di carne sintetica approvato dal nostro Governo, potrebbe costare all’Italia l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea e venire, quindi, presto annullato.
Infatti, il divieto di importazione andrebbe a violare un importante principio dell’Unione Europea quello della libera circolazione delle merci. Senza contare che l’Italia ha imposto questo divieto prima ancora che l’Unione Europea avesse legiferato a riguardo. Questo significa che in caso di un via libera ufficiale alle carni sintetiche proveniente dall’UE, il divieto italiano diventerebbe automaticamente illegittimo.

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Aggirare il limite di utilizzo dei contanti, ecco il trucco dei pagamenti frazionati: ma è sempre legale? Non sempre

Pubblicato il: 21/11/2023

Dal 1° gennaio 2023, il limite massimo per i pagamenti in contanti è diventato di 4.999,99 euro. Ciò significa che tutte le operazioni da 5.000 euro in su vanno effettuate tramite strumenti tracciabili come bonifici, assegni, carte di credito, bancomat ecc.. Mai con contanti. La limitazione dell’uso del contante è stata voluta dal Governo per contrastare l’evasione fiscale che avviene spesso con pagamenti in nero di cifre elevate.

Se si supera la soglia consentita, saranno sanzionati entrambi i soggetti che hanno effettuato il trasferimento. Quindi, colui che paga in contanti e colui che riceve la somma. Le sanzioni vanno dai 1.000 euro a un massimo di 50.000 euro, a seconda della gravità dell’infrazione: non proprio noccioline, insomma.

Il limite ai pagamenti in contanti per somme pari o superiori a 5.000 euro riguarda tutti i trasferimenti di denaro ad altri soggetti, inclusi i prestiti o le donazioni.
Fanno eccezione i prelievi ed i versamenti dal o sul proprio conto corrente bancario o postale. Difatti, la legge parla di soglia che si applica ai trasferimenti di denaro tra “soggetti diversi”. Pertanto, il limite non vale per i trasferimenti in contante sul proprio conto corrente, ovvero prelievi e versamenti.

Il limite di 5.000 euro può essere superato con più pagamenti separati, tutti sotto la soglia stabilita dalla legge?

Cosa dice la legge sul pagamento frazionato?

È possibile frazionare il pagamento, ma solo a determinate condizioni. Vediamo cosa dice la normativa.

L’art. 49 D.Lgs. n. 231/2007 vieta il trasferimento di somme in contanti superiori al limite massimo consentito "anche quando è effettuato con più pagamenti, inferiori alla soglia, che appaiono artificiosamente frazionati".
La normativa è molto severa e stabilisce che non è possibile aggirare il limite dei contanti frazionando l’operazione. Questo vuol dire che non si può oltrepassare il tetto massimo dei 4.999 euro, nemmeno suddividendo in più parti il pagamento, pur rimanendo per ogni singola operazione al di sotto della soglia prevista dalla legge.

Quindi, quando sono consentiti i pagamenti frazionati?
Sono possibili in caso di accordo commerciale con il creditore per ottenere un pagamento rateale: questo è assolutamente consentito.
Dunque, il pagamento in contanti per importi frazionati è legittimo qualora sia possibile il versamento rateizzato che solitamente viene concesso quando, in caso di somme elevate, sia difficile ottenere il pagamento in un’unica soluzione. Anche in tal caso, però, occorrerà sempre rispettare il tetto massimo del pagamento in contanti: cioè, nessuna singola rata in contanti potrà superare i 4.999,99 euro.

È possibile il pagamento frazionato anche quando la natura stessa del contratto lo preveda. Si pensi ai contratti di fornitura e di somministrazione.
Infatti, in tali casi, l’operazione rimane unitaria. A mutare è la modalità di pagamento che permette una dilazione dell’importo pattuito. Ovviamente, in entrambi i casi, occorrerà dotarsi del contratto o della fattura da cui risulti il pagamento dilazionato, affinché l’operazione risulti legittima.

Ecco un esempio: nel caso di un’operazione al seno da 8.000 euro, la paziente potrà accordarsi con il chirurgo per un pagamento rateale in otto rate mensili da 1.000 euro ciascuna che potrà versare in contanti. Questa operazione è perfettamente consentita dalla legge a condizione che vi sia un contratto o un documento da cui risulti la dilazione del pagamento.


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Bonus del Governo da sfruttare nel Black Friday 2023: ecco tutti gli incentivi statali e detrazioni per risparmiare

Pubblicato il: 20/11/2023

Manca poco al tanto atteso black Friday 2023 che si terrà venerdì 24 novembre, una data da tenere a mente se ci si vuole dedicare allo shopping sfrenato e agli sconti prenatalizi. Il Black Friday, che in si traduce letteralmente “venerdì nero” e cade sempre il giorno successivo alla festa americana del Ringraziamento. Una data pensata per gli acquisti e tradizionalmente considerata negli USA come l'inizio della stagione delle compere natalizie e dei relativi saldi, ma che ormai gode di fortuna anche da noi in Italia, oltre che nel resto del mondo.
Il black Friday nostrano è una buona occasione per utilizzare tutti i bonus messi a disposizione dal Governo con la Legge di bilancio 2023. Ecco quali sono.

Bonus vista
Con il bonus vista si ha diritto ad un contributo di 50 euro per acquistare occhiali da vista o lenti a contatto correttive.
A richiedere il bonus potranno essere i membri di nuclei familiari con un ISEE non superiore a 10.000 € annui che, a partire dal 1° gennaio 2021 e fino al 31 dicembre 2023, hanno acquistato o acquisteranno occhiali da vista ovvero lenti a contatto correttive. Il bonus non potrà essere utilizzato per l’acquisto di occhiali da sole.

Bonus Mobili ed elettrodomestici
Con questo bonus è possibile ottenere una detrazione al 50% sull’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe energetica elevata (di classe non inferiore alla classe A per i forni, alla classe E per le lavatrici, le lavasciugatrici e le lavastoviglie, alla classe F per i frigoriferi e i congelatori), sempre in relazione agli interventi di ristrutturazione dell’abitazione. La spesa massima consentita è di 8mila euro per il 2023 e di 4mila euro per il 2024.

Bonus condizionatori
Sempre per il settore elettrodomestici, è possibile approfittare del bonus condizionatori che prevede uno sconto fiscale che va dal 50% al 65% (in base al tipo di dispositivo acquistato o alla natura di intervento realizzato) per l’acquisto di un nuovo condizionatore o in caso di sostituzione del vecchio impianto con uno a pompa di calore o a risparmio energetico. Anche questa agevolazione è valida per tutti gli acquisti effettuati entro il 31 dicembre 2023.

Bonus cultura per l’acquisto di libri e cd
Il Governo mette a disposizione bonus per tantissime attività legate alla cultura come sconti per: ingressi a mostre, monumenti ed eventi culturali, l’acquisto biglietti teatrali o per il cinema, libri, cd, abbonamenti a quotidiani e periodici anche in formato digitale, prodotti dell’editoria audiovisiva. È possibile accedere a questi bonus con due distinte carte.
La Carta della cultura Giovani per tutti i residenti nel territorio nazionale, appartenenti a nuclei familiari con ISEE non superiore a 35 mila euro. La Carta in questione è assegnata e può essere utilizzata nell’anno successivo quello del compimento del diciottesimo anno di età.
La Carta del merito, che è destinata a coloro che hanno conseguito “non oltre l’anno di compimento del diciannovesimo anno di età, il diploma finale presso istituti di istruzione secondaria superiore o equiparati con una votazione di almeno 100 centesimi, assegnata e utilizzabile nell’anno successivo a quello del conseguimento del diploma e cumulabile” con la Carta della cultura Giovani.

Bonus bici
Si tratta di un contributo da 500 a 1000 euro che non può superare il 50% del costo del mezzo. Il bonus è di 500 euro per le bici a pedalata assistita e 1000 euro per le cargo bike. Con la rottamazione della propria auto, invece, è previsto: fino a 700 € per l’acquisto di una bici a pedalata assistita e fino a 1.400 € per l’acquisto di una cargo bike a pedalata assistita, ma in questo caso l’ammontare del contributo non potrà superare il 70% del costo del mezzo.


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Legge 104, tutte le agevolazioni per comprare elettrodomestici a prezzi scontati: ecco quali si possono acquistare

Pubblicato il: 20/11/2023

Se sei un beneficiario della legge 5 febbraio 1992, n. 1992, dovresti sapere che puoi usufruire di diversi benefici, come ad esempio:

  • permessi lavorativi;
  • detrazioni fiscali per l’acquisto di veicoli;
  • esenzione dal pagamento del bollo ed esonero dell’imposta di trascrizione per il passaggio di proprietà;
  • detrazioni fiscali per le spese sanitarie;
  • detrazioni fiscali per le spese relative alla rimozione d barriere architettoniche;
  • detrazione IRPEF del 19% sull’acquisto di dispositivi tecnici ed informatici e un’IVA agevolata al 4%;

Le norme tributarie, quindi, prevedono diverse agevolazioni fiscali a favore dei soggetti disabili e dei loro familiari. Oggi, in particolare, ci soffermeremo però sulle agevolazioni relative agli elettrodomestici. Ne hai sentito parlare ma non ci hai capito molto? Non temere, perché dopo questo articolo avrai le idee più chiare.

Prima di tutto, se ti stai chiedendo quali elettrodomestici puoi acquistare, devi sapere che non esiste una lista o qualcosa di simile.
Quello che la legge prevede, difatti, è la possibilità, per alcuni elettrodomestici, di usufruire di una riduzione delle spese. Si tratta, in particolare, di quegli elettrodomestici riconducibili nell'alveo dei sussidi tecnici e informatici, per i quali è prevista un'IVA agevolata al 4% (piuttosto che al 22%) e la detrazione IRPEF del 19%.

In merito a tale questione, relativa alle agevolazioni fiscali per i disabili, l'Agenzia delle Entrate si è pronunciata con interpello n. 422 del 24 ottobre 2019.
In particolare, in merito all'IVA agevolata al 4%, l'Agenzia delle Entrate, ha evidenziato che l'art. 1, comma 3-bis), del decreto legge 29 maggio 1989, n. 202 prevede che "Tutti gli ausili e le protesi relativi a menomazioni funzionali permanenti sono assoggettati all'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto del 4 per cento", mentre, ex art. 2, comma 9, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, l'aliquota iva agevolata "si applica anche ai sussidi tecnici ed informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e l'integrazione dei soggetti portatori di handicap di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104".
L'ADE ha evidenziato come, con tale disposizione, il legislatore abbia inteso estendere le agevolazioni già previste per gli ausili in senso stretto anche ai prodotti di comune reperibilità atti a migliorare l'autonomia delle persone con disabilità.

Come sottolineato dall'ente, inoltre, ai sensi dell'art. 1 del decreto del Ministro delle finanze del 14 marzo 1998, l'aliquota del 4% si applica alle cessioni e importazioni dei sussidi tecnici ed informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e l'integrazione dei soggetti portatori di handicap. Si considerano tali, ex art. 2, comma 1 del predetto decreto, "le apparecchiature e i dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, appositamente fabbricati o di comune reperibilità, preposti ad assistere la riabilitazione, o a facilitare la comunicazione interpersonale, l'elaborazione scritta o grafica, il controllo dell'ambiente e l'accesso alla informazione e alla cultura in quei soggetti per i quali tali funzioni sono impedite o limitate da menomazioni di natura motoria, visiva, uditiva o del linguaggio".

Ma quale documentazione deve produrre il soggetto portatore di handicap per usufruire dell'aliquota agevolata?
In primo luogo, deve produrre certificato, rilasciato dall'ASL competente, che attesti l'invalidità funzionale permanente.
Deve poi produrre la specifica prescrizione autorizzativa rilasciata dal medico specialista dell'ASL competente, dalla quale risulti il collegamento funzionale tra la certificata invalidità e il sussidio in questione.

Fatte tali considerazioni, l'Agenzia delle Entrate ha chiarito che, quindi, si potrà usufruire dell'aliquota iva agevolata al 4% in ordine a tutti quei beni per i quali il medico specialista attesti, sulla base di una valutazione tecnica, la sussistenza di un collegamento funzionale tra la patologia diagnosticata e gli effetti migliorativi che i sussidi che si intendono acquistare possano apportare alle sue esigenze di vita.

In merito alla detrazione Irpef del 19%, l'ADE ha evidenziato che l'art. 15, lettera c) disciplina la detrazione spettante per le spese sanitarie distinguendo tra quelle per le quali la detrazione può essere calcolata sull'intero importo e quelle per le quali la detrazione stessa può essere calcolata solo sull'importo eccedente euro 129,11. In particolare, ha evidenziato che la detrazione, nella misura del 19%, spetta sull'intero importo delle spese riguardanti i mezzi necessari all'accompagnamento, alla deambulazione, alla locomozione e al sollevamento e per sussidi tecnici e informatici rivolti a facilitare l'autosufficienza e le possibilità di integrazione dei soggetti portatori di handicap.
L'ADE evidenzia che, ad esempio, rientrano in questa categoria di spesa:

  • i dispositivi medici aventi le finalità di facilitare l'accompagnamento, la deambulazione, la locomozione e il sollevamento dei disabili;
  • l'acquisto o l'affitto di poltrone e carrozzelle per inabili e minorati non deambulanti;
  • l'acquisto di apparecchi per il contenimento di fratture, ernie e per la correzione dei difetti della colonna vertebrale;
  • l'acquisto di arti artificiali per la deambulazione;
  • l'acquisto della pedana sollevatrice da installare su un veicolo ammesso alla detrazione senza vincolo di adattamento in quanto destinato al trasporto delle persone affette da disabilità grave;
  • l'acquisto di fax, modem, computer, telefono a viva voce, schermo a tocco, tastiera espansa e i costi di abbonamento al servizio di soccorso rapido telefonico;
  • l'acquisto di cucine, limitatamente alle componenti dotate di dispositivi basati su tecnologie meccaniche, elettroniche o informatiche, preposte a facilitare il controllo dell'ambiente da parte dei soggetti disabili, specificamente descritte in fattura con l'indicazione di dette caratteristiche.

L'Agenzia delle Entrate specifica che, per le spese riguardanti i sussidi tecnici ed informatici e l'acquisto di cucine, per usufruire della detrazione è necessario il collegamento funzionale tra il sussidio tecnico informatico e lo specifico handicap, che dovrà risultare o dalla certificazione rilasciata dal medico curante oppure dalla prescrizione autorizzativa rilasciata dal medico specialista dell'ASL di appartenenza, richiesta dal predetto DM del 14 marzo 1998 per l'aliquota IVA agevolata.

Infatti, ai fini IRPEF, per ottenere le agevolazioni, occorre, oltre alla certificazione attestante la minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, rilasciata dalla Commissione di cui all'art. 4 della legge n.104 del 1992 o da Commissioni mediche pubbliche incaricate ai fini del riconoscimento dell'invalidità civile, di lavoro, di guerra, anche la certificazione del medico curante attestante che quel sussidio serve per facilitare l'autosufficienza e la possibilità di integrazione della persona disabile.
La funzione di tali certificati è attestare, sulla base di una valutazione tecnica, che sussiste un collegamento funzionale tra la patologia diagnosticata e gli effetti migliorativi che i sussidi che si intendono acquistare possano apportare.

Per usufruire della detrazione IRPEF del 19%, non è però necessaria la specifica prescrizione autorizzativa rilasciata dal medico specialista dell'ASL competente, che invece occorre, ai sensi del D.M. 14 marzo 1998, per usufruire dell'aliquota IVA agevolata al 4%, unitamente al certificato attestante l'invalidità funzionale permanente rilasciato dall'ASL.


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Madre esasperata sfratta i figli quarantenni: ecco quando i genitori possono smettere di mantenere i figli per legge

Pubblicato il: 19/11/2023

La protagonista di questa storia tutta italiana è una signora di Pavia che a più di 70 anni era costretta ad occuparsi ancora dei figli ormai quarantenni che vivevano in casa con lei. La donna più volte aveva invitato i suoi figli a cercarsi una propria sistemazione, anche perché entrambi avevano un lavoro ma le sue speranze erano sempre risultate vane. La signora lamentava che i figli non contribuissero in alcun modo né con le faccende domestiche né tantomeno a pagare le bollette di casa. Insomma, i due quarantenni vivevano in un “hotel” dove la madre gli faceva da cameriera. Ma si sa, la pacchia non può durare per sempre.

Ed ecco che la signora, esasperata e stanca, decide di ricorrere a un giudice pur di sfrattare da casa i due “bamboccioni”. Il Tribunale di Pavia le dà ragione: i due figli, rispettivamente di 40 e 45 anni dovranno lasciare l’abitazione materna entro il prossimo 18 dicembre.
Per decidere il Tribunale ha considerato sia l’età dei due figli, ormai adulti e il fatto che entrambi avessero un lavoro per potersi mantenere autonomamente. Più precisamente, nella sentenza emessa dal giudice si legge che se: "la permanenza nell'immobile agli inizi poteva ritenersi fondata", in quanto fondata "sull'obbligo di mantenimento gravante sulla genitrice, non appare oggi più giustificabile", in quanto "i due resistenti sono soggetti ultraquarantenni".

Fino a quando i genitori hanno l’obbligo di mantenere i figli?
Innanzitutto, i genitori – come sostiene l’art. 30 della nostra Costituzione e gli artt. 147 e 148 c.c. – hanno il dovere, fin dalla nascita del proprio figlio, di educarlo, istruirlo, tenendo conto delle sue aspirazioni e inclinazioni e infine mantenerlo, in proporzione alle proprie possibilità economiche e capacità di lavoro professionale o casalingo. Ma questo obbligo può durare all’infinito? Ovviamente no.
La Cassazione sostiene da tempo che, in realtà, il dovere dei genitori non cessa automaticamente alla maggiore età. L’obbligo del mantenimento si interrompe solo al raggiungimento della indipendenza economica del figlio.
Ciò significa che il ragazzo, ormai maturo, deve aver raggiunto una indipendenza tale da renderlo autonomo e in grado di provvedere ai propri bisogni personali, senza dover ricorrere al supporto economico della propria famiglia.

Quindi, il suo diritto, invece, continua solo fino a quando dimostri di non essere riuscito a trovare un impiego, pur se non perfettamente corrispondente alle sue aspirazioni.

E se il giovane è iscritto all’università? Se il ragazzo ha intrapreso un percorso di studio,
in tal caso, occorre dargli l’opportunità di terminare con serenità gli studi e, una volta concluso il percorso, bisognerà ancora supportarlo per il tempo sufficiente affinché riesca a trovare un’occupazione.

Al contrario, se non ha alcuna intenzione di proseguire con gli studi o se ha terminato l’università da tempo e non trova lavoro, non potrà addebitare la colpa della propria inoccupazione alle condizioni di mercato: dopo un certo periodo di inattività, gli potrà essere negato il mantenimento economico. Questo è quello che sostiene la Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 2344/2023.

Sebbene non vi sia un’età anagrafica da cui si fa decorrere la perdita del diritto al mantenimento, diverse pronunce di legittimità hanno stimato una soglia intorno ai 30/35 anni, a seconda del percorso di studi intrapreso. In altri termini, secondo i giudici di Cassazione dopo tale soglia si presume che la disoccupazione dipenda unicamente dall’inerzia colposa del ragazzo.
In questo caso, mamma e papà dovranno provare che il loro ragazzo è ormai autosufficiente, oppure che lo stesso non si è impegnato attivamente per la ricerca di un’occupazione o che, in ogni caso, il mancato impiego dipenda da colpa solo del figlio.


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Black Friday e Saldi, il negoziante è obbligato a cambiare i prodotti acquistati in sconto? Secondo la legge non sempre

Pubblicato il: 18/11/2023

Il Black Friday si avvicina e questo significa acquistare prodotti in sconto. Prima ti sei fatto prendere dalla frenesia di fare shopping e di approfittare di quell’offerta imperdibile. Poi, ti ha assalito un dubbio: è possibile sostituire il prodotto acquistato in saldo?

Cosa prevede la legge per gli acquisti fatti in negozio? E ci sono regole diverse per gli acquisti online? Cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento.

Per quanto riguarda la merce comprata in negozio, la legge (il codice del consumo) stabilisce che il cambio della merce è un diritto di chi acquista, ma ad una condizione: è necessario che la merce acquistata sia difettosa o abbia dei malfunzionamenti.
Ovviamente, devono trattarsi di difetti o malfunzionamenti non causati dal cliente, ma già esistenti all’acquisto. Sai questo che significa? Se, ad esempio, fai cadere il telefonino in acqua, poi non avrai diritto al cambio dello smartphone.

Se nel prodotto acquistato sono presenti difetti di conformità o malfunzionamenti già al momento della consegna, la legge prevede una garanzia di due anni: nei due anni successivi all’acquisto, il venditore è obbligato alla sostituzione del prodotto (senza costi aggiuntivi) o, nei casi più gravi, alla restituzione dei soldi.

E facciamo anche una precisazione. Se hai perso lo scontrino dell’acquisto? Niente paura. Devi anche sapere che puoi usufruire di questa garanzia anche se non mostri lo scontrino al venditore. Ciò non significa che il commerciante potrà cambiare la merce solo sulla fiducia. Devi comunque dare la prova della data e del luogo della vendita in un altro modo (ad esempio, con un estratto conto della tua carta di credito).

Quindi, se sei una persona che prima compra e poi si fa prendere da mille ripensamenti, fai attenzione: il venditore non ha l’obbligo di cambiarti la merce acquista quando la sostituzione è dovuta ad un tuo errore o cambio d’umore. Secondo la legge, non c’è un diritto al cambio della merce in questo caso. Se hai sbagliato la taglia di quella maglia o se ti sei pentito di aver preso le scarpe di un colore anziché un altro, potresti anche ricevere un “no” dal venditore e doverti tenere, controvoglia, quel prodotto.

E questo vale anche per ciò che hai comprato in saldo o, comunque, con gli sconti.

Questo vuol dire che, se vuoi cambiare la merce per un tuo motivo personale e non per un difetto del prodotto, il venditore può sì provvedere alla sostituzione, ma può anche legittimamente rifiutare di effettuare il cambio. Tutto dipende da lui, dalla politica adottata e dalle strategie commerciali che segue. Ad esempio, potrebbe acconsentire al cambio, ma entro un certo periodo di tempo: solitamente, entro una settimana.

E quanto detto vale anche per gli acquisti fatti online? In realtà, ci sono regole un po’ diverse.

Se anche tu sei un grande appassionato di e-commerce e spesso acquisti direttamente da internet, allora ti conviene sapere che in questi casi l’acquirente ha il cd. diritto di recesso: ossia, se hai fatto un acquisto online, hai quattordici giorni di tempo dalla consegna del prodotto per restituire il prodotto, chiedendo indietro i soldi spesi.

E bisogna anche precisare che il compratore non perde questo diritto se apre il pacco che il corriere gli ha consegnato. D’altronde, l’apertura del pacco è necessaria per controllare la merce che hai acquistato: altrimenti, davvero sarebbe un acquisto “a scatola chiusa”.

Peraltro, nel caso di ripensamento, stai tranquillo: infatti, se vuole esercitare il diritto di recesso (con richiesta di totale rimborso), il cliente online non deve dare alcuna giustificazione per la sua decisione e, soprattutto, non può andare incontro a penali o spese ulteriori.

Quindi, anche se ci sono saldi e sconti folli, non acquistare alla leggera: potresti ritrovarti una maglia o un elettrodomestico che non potrai più restituire o sostituire.


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Usucapione da parte del coniuge della casa familiare: si può fare?

Pubblicato il: 17/11/2023

Una donna si era rivolta al Tribunale di Rovigo al fine di veder riconosciuta in suo favore l'usucapione della casa familiare, di cui il marito era comproprietario assieme al fratello. La domanda, tuttavia, era stata rigettata sia in primo grado che in appello, giungendo infine all'esame della Corte di Cassazione.

Con l'ordinanza n.18028/2023, la Suprema Corte ha nuovamente negato il diritto alla donna. Ma perché?

Prima di esaminare le motivazioni, ripassiamo insieme cos'è l'usucapione.
Si tratta, essenzialmente, di un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e degli altri diritti reali di godimento. Ma quali sono i requisiti per usucapire un bene?

Occorre in primo luogo l'esercizio delpossesso, ossia di un potere di fatto sulla cosa. Tale possesso deve essere continuo (art.1158), non interrotto (art.1167), pacifico e pubblico (art.1163).
Per i beni immobili, per aversi usucapione, occorre che il possesso sia continuato per venti anni.

Ciò che distingue il possesso dalla detenzione (diritto civile) è la presenza, nel possessore del corpus possessionis, ossia il potere di fatto sulla cosa, e dell'animus possidendi, ossia la volontà di possedere il bene esercitando i poteri che spettano al proprietario o al titolare di un diritto reale.

Il detentore, invece, ha un potere di fatto sul bene, ma non si comporta come se ne fosse proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa.

Ed è proprio in virtù della distinzione tra possesso e detenzione (diritto civile) che la Corte di Cassazione, confermando le valutazioni dei giudici di primo e secondo grado, ha negato che la donna avesse usucapito l'immobile.

Nella sentenza può leggersi, infatti, che la donna aveva avuto la disponibilità materiale dell'immobile prima in virtù del rapporto di coniugio e, dopo la fine del matrimonio, in virtù del provvedimento di assegnazione emesso in suo favore nel procedimento di separazione.

Tuttavia, non risultava provato che avesse esercitato il possesso sul bene.

Da quanto emerso nella causa, era chiaro che la donna avesse iniziato ad utilizzare l'immobile in virtù del rapporto di coniugio con il marito, il quale esercitava il possesso sulla casa, essendone comproprietario con il fratello. Ma nessun elemento portava ad affermare che la donna avesse esercitato un compossesso o un possesso in grado da escludere quello del marito.

Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, la moglie non era altro che una detentrice dell'immobile, ai sensi dell'art.1140 del Codice Civile, che spiega che si può possedere anche per mezzo di un'altra persona, che ha la detenzione del bene.

E dopo la separazione? Nemmeno dopo la fine del matrimonio la ricorrente aveva posseduto la casa familiare?

Anche al riguardo, la risposta della Cassazione è negativa.

I giudici evidenziano, infatti, che i provvedimenti di assegnazione della casa coniugale, in fase di separazione e di divorzio, non erano tali da mutare la precedente detenzione in possesso.

Ed anzi, il fatto che la disponibilità materiale dell'immobile da parte della donna trovasse titolo in un provvedimento giudiziale, automaticamente escludeva la possibilità di usucapire la casa.
Ciò anche in virtù del consolidato orientamento della Suprema Corte, secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale riconosce all'assegnatario un atipico diritto personale di godimento.
Di conseguenza, la donna non poteva vantare alcun diritto di proprietà sull'immobile.

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Nuova legge 104, cambiano le regole: parametri diversi e semplificazioni, da oggi non tutti potranno beneficiarne

Pubblicato il: 16/11/2023

Novità in vista per la legislazione che riguarda le persone con disabilità.

Il Consiglio dei Ministri ha recentemente emesso due decreti che stanno per portare importanti novità nella Legge 104. Con questi decreti, si dà attuazione alla Legge n. 227 del 2021 (Legge Delega al Governo in materia di disabilità), con la quale si voleva modificare la Legge 104 per assicurare ai disabili il riconoscimento dei loro diritti civili e sociali.

Capiamo insieme quali saranno i cambiamenti alla Legge 104.

Sono state modificate le regole per ottenere le agevolazioni. Ci sarà una semplificazione delle operazioni per poter ottenere la disabilità. Inoltre, tra le varie innovazioni, sarà introdotto anche il cd. accomodamento ragionevole (o “ragionevole sistemazione”) che consentirà modifiche e adattamenti per garantire le esigenze degli interessati.

Certo, tra modifiche, semplificazioni e innovazioni potresti averci capito poco. E allora spieghiamo nei particolari i cambiamenti in materia di disabilità.

Il primo decreto introduce una serie di novità che permettono di avere una visione più ampia ed aperta della disabilità.

Innanzitutto, viene ufficialmente definito il concetto di disabilità. Viene precisata che la “disabilità” non è più da intendere come quella derivante dalla semplice visione medica dell’impedimento determinato dalla malattia o patologia, ma va intesa come quella derivante dall’interazione tra persone con compromissioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono o limitano la partecipazione nei diversi contesti di vita.

A questo primo intervento si collega anche l’adozione di classificazioni internazionali delle malattie dell’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) e della classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute.

Tutto ciò potrebbe portare ad un cambiamento di chi può beneficiare della Legge 104?

C’è questa possibilità. Infatti, da un lato, per stabilire la condizione di disabilità, ci sono parametri diversi: si dovrà guardare non più solo agli elementi che condizionano in negativo la vita della persona (ai sensi dell’art. 3 Legge 104, le minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e lo svantaggio sociale che ne deriva), ma anche l’ambiente in cui la persona vive e interagisce. Dall’altro lato, l’uso delle classificazioni internazionali darà certamente un quadro più completo della salute delle persone.

E le novità non sono finite qui. Infatti, all’INPS sarà affidato il procedimento unificato della valutazione di base. Che significa? In sintesi, ci sarà l’unificazione dei processi per la certificazione della condizione di disabilità e per l’accertamento dell’invalidità civile.

Peraltro, il decreto ha stabilito come debba essere effettuata la valutazione della disabilità così da poter predisporre un “progetto di vita” personalizzato: partendo da una valutazione di base, si dovrà effettuare una valutazione bio-psico-sociale.
È un punto fondamentale perché, in questo modo, si vuole fornire un sostegno completo dal punto di vista medico, socio-sanitario e sociale. Lo scopo è quello di semplificare le procedure e non cadere in ritardi nella fornitura di certificati, servizi e visite mediche.

E, infine, come accennato, la novità forse più importante di questo decreto attuativo: il diritto all’accomodamento ragionevole. Si tratta della possibilità di apportare delle modifiche e degli adattamenti per assicurare i diritti civili e sociali delle persone disabili, senza necessità di un’eccessiva burocrazia.

Però, bisognerà aspettare ancora un po’ per vedere questi cambiamenti. Si sta parlando di modifiche che verranno sperimentate durante il corso del 2025.
Vuoi sapere perché si parla di sperimentazione? Perché l’obiettivo è quello di precisare in modo chiaro i criteri e le modalità di valutazione ed accertamento.

E il discorso non finisce qui. Infatti, c’è anche un secondo decreto attuativo. Con questo provvedimento, viene istituita una Cabina di Regia (che verrà attivata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) con il compito di individuare e definire le prestazioni essenziali per le persone con disabilità. Ciò al fine di proporre linee guida per assicurare i progetti individuali di vita ritenuti come essenziali.

Solo il tempo e l’applicazione di queste nuove disposizioni ci diranno se quei cambiamenti e quella semplificazione tanto agognata siano stati veramente raggiunti.


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