Limiti di velocità in auto, puoi superarli legalmente senza ripercussioni in alcune circostanze: ecco in quali casi

Pubblicato il: 01/09/2024

Alice è in stato di gravidanza, le contrazioni sono aumentate e Giorgio preme sull’acceleratore per andare in ospedale. Nel giro di pochi secondi il conducente viene accostato da una volante dei vigili urbani del posto: dovrà pagare una multa per eccesso di velocità? Scopriamo insieme cosa accade.

L’eccesso di velocità è notoriamente fra le infrazioni più comuni previste dal Codice della strada, di cui al D. Lgs. n. 285/1992.

Per ragioni di sicurezza, il regime del sistema stradale nazionale non prevede un unico limite di velocità sulle sue arterie viarie. Per la circolazione su autostrade, strade urbane ed extra-urbane, sono infatti previsti limiti diversi in base alle caratteristiche del percorso e della vettura.

La norma di riferimento è l’art. 142 del Codice della strada. Essa stabilisce – in via generale – questi limiti di velocità:

>50 km/h nei centri abitati;
>70 km/h nelle strade urbane di scorrimento (ma ci deve essere opportuna segnaletica e deve essere stata emessa un’apposita delibera comunale);
> 90 km/h per strade extraurbane secondarie ed extraurbane locali;
>110 km/h per strade extraurbane principali;
>130 km/h per autostrade.

Limiti specifici sono poi previsti per:

> particolari categorie di conducenti. Ad esempio, secondo l’art. 117 del Codice della strada, i neopatentati – ovvero coloro che hanno ottenuto la patente da meno di tre anni – sono soggetti a limiti di velocità specifici: non possono superare i 100 km/h sulle autostrade e i 90 km/h sulle strade extraurbane principali. Il fine di queste restrizioni è, chiaramente, quello di promuovere una guida più consapevole e sicura durante i primi anni di conduzione autonoma;
> determinati tipi di veicolo. Ad esempio, i ciclomotori non possono superare i 45 km/h;
situazioni particolari. Ad  esempio, nel caso di precipitazioni atmosferiche, il limite su strade extraurbane deve essere almeno di 90 km/h e, in caso di nebbia, il limite può essere ulteriormente abbassato a 50 km/h  se la visibilità è inferiore a 100 metri. In tutti questi casi, le variazioni dei limiti massimi vengono segnalati dagli organi di polizia preposti al controllo del traffico o dagli appositi pannelli situati lungo il percorso.

L’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali  – puntualizza la Cassazione – va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (Cass. pen., sent. 17-05-2024, n. 19635).

Superati questi limiti, si configura l’eccesso di velocità.

Questa violazione è punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro. Oltre alla multa, c’è anche la decurtazione dei punti dalla patente. Le sanzioni pecuniarie aumentano di un terzo se la violazione avviene nelle ore notturne (dalle 22.00 alle 07.00). L’art. 345 Reg. att. del citato D. Lgs. n. 285/1992 prevede un margine di tolleranza nel caso di rilevamento della velocità con strumenti elettronici come l’autovelox.

Qual è il margine di tolleranza degli autovelox?

Fino a 100 km/h, c’è la tolleranza di 5 km/h. Invece, sopra i 100 km/h, la tolleranza è pari al 5% della velocità massima.

L’ordinamento, ancora, riconosce lo stato di necessità quale esimente della responsabilità, in situazioni particolari al cui cospetto potrebbe essere giustificato infrangere la norma.

In particolare, secondo l’art. 54 del c.p., “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
In termini analoghi si esprime anche l’art. 4 della L. n. 689/1981, laddove stabilisce che “non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”.

La valutazione dell’esimente dello stato di necessità deve essere condotta con particolare prudenza e con un doveroso rigore, come in tutte le situazioni nelle quali, accertata la sussistenza di un illecito, si deve motivare la ragione di legge per la quale si esonera il colpevole da ogni pena (Cass., sent. n. 537/2000).
Lo stato di necessità deve essere circoscritto alla situazione che ha fatto scattare la sanzione amministrativa. Questo stato di necessità, poi, dovrà essere dimostrabile (cartelle cliniche e certificati medici, per esempio). Il pericolo, insomma, deve essere imminente e deve esserci un nesso di causa – effetto specifico e preciso, tra la situazione pericolosa (nell’esempio, la donna sta partorendo) e la reazione (l’eccesso di velocità del conducente).


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Assegno unico 2024, arrivano i tagli per alcune fasce di reddito con la nuova proposta del Governo: ecco chi riguarda

Pubblicato il: 01/09/2024

Le risorse che servono per la prossima manovra finanziaria sono ingenti: si stima una misura tra i 25 e i 27 miliardi. E, fra le varie ipotesi per reperirle, il Governo sta valutando proprio quella di tagliare l’Assegno Unico e Universale (AUU).

Questa misura – istituita dal Governo Draghi con il D. Lgs. n. 230 del 21 dicembre 2021 – è una prestazione erogata mensilmente dall’INPS a tutti i nuclei familiari per ogni figlio minorenne a carico e, in presenza di determinati requisiti, per ciascun figlio maggiorenne a carico, fino al compimento dei 21 anni.
È riconosciuto anche per ogni figlio a carico con disabilità, senza limiti di età.

L’Assegno Unico spetta a tutti i nuclei familiari, indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori (non occupati, disoccupati, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e pensionati) e senza limiti di reddito.
L’importo, però, è commisurato all’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente); tuttavia, nel caso in cui non si volesse presentare un ISEE, è comunque possibile fare domanda e ottenere l’importo minimo per ciascun figlio.

Nel 2022, la spesa pubblica per l’AUU è stata di 13 miliardi. L’anno scorso è salita a 18 miliardi. Quest’anno, probabilmente, peserà sulle casse dello Stato per circa 20 miliardi, considerato che nel primo semestre l’INPS ha segnato già quasi 10 miliardi. Le famiglie coinvolte sono 6,6 milioni per 10 milioni di figli.

Da gennaio 2024 l’importo dell’AUU è cresciuto per effetto della rivalutazione del 5,4%: ad esempio, l’assegno minimo che spetta a chi dichiara un ISEE superiore a 45.575 euro o non dichiara l’ISEE, è passato dai 54,10 euro del 2023 a 57 euro nel 2024. Un ISEE basso dà invece diritto a un assegno unico di quasi 200 euro per figlio, che in un anno fanno 2.400 euro.

La soluzione che si prospetta sarebbe quella di tagliare l’assegno base da 57 euro a figlio, che oggi è corrisposto alle famiglie che non presentano l’ISEE o ne hanno uno troppo alto, e destinare più risorse alle famiglie molto numerose, con disabili, “con una storia di lavoro radicata in Italia”.

A ciò si aggiunga che, nel novembre 2023, l’Europa ha messo l’Italia in procedura di infrazione per il requisito dei 2 anni di residenza chiesto agli stranieri. Infrazione che, nello scorso mese di luglio, si è trasformata in deferimento alla Corte di Giustizia Ue. 

Nella specie la procedura d’infrazione UE è stata motivata dalle seguenti considerazioni:
 > l’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) vieta la discriminazione dei cittadini dell’UE, a motivo della loro cittadinanza, in un altro Stato membro dell’Unione per quanto riguarda l’accesso all’impiego e le condizioni di lavoro;
> tale disposizione del trattato è ulteriormente dettagliata nel regolamento (UE) n. 492/2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori, il cui articolo 7, paragrafo 2, specifica che i lavoratori mobili dell’UE dovrebbero beneficiare degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. Sono ivi comprese le prestazioni familiari;
> infine, a norma del regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, i lavoratori mobili dell’UE dovrebbero essere trattati allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro in cui lavorano e hanno diritto allo stesso livello di prestazioni familiari, anche per i figli a carico che risiedono in modo permanente in un altro Stato membro.


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Lavoratori, puoi rifiutarti di fare gli straordinari secondo la Cassazione: ecco in casi previsti dalla legge

Pubblicato il: 01/09/2024

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22459 dell’8 agosto 2024, ha dichiarato illegittimo il licenziamento irrogato ad un lavoratore, che si era rifiutato di eseguire un incarico straordinario assegnatogli con breve preavviso.

Nel caso di specie il lavoratore, impiegato in una società di trasporto, aveva ricevuto l’ordine di effettuare un viaggio non programmato, il venerdì sera al termine della sua giornata lavorativa. Dopo il suo rifiuto, la società, ritenendolo inaffidabile, aveva avviato un procedimento disciplinare e lo aveva licenziato per giusta causa.

Cosa dice la legge in proposito?

Ini via preliminare, si ricorda che l’orario straordinario consiste nelle ore di lavoro eccedenti l’orario di lavoro normale, quantificato dalla normativa vigente in 40 ore settimanali, salva la disciplina dei contratti collettivi (art. 3 del D. Lgs. n. 66/2003).

Il legislatore, infatti, ha previsto la facoltà della contrattazione collettiva – di qualsiasi livello – di introdurre il c.d. regime degli orari multiperiodali, cioè la possibilità di seguire orari settimanali superiori e inferiori all’orario normale, a condizione che la media corrisponda alle 40 ore settimanali o alla durata minore stabilita dalla contrattazione collettiva, riferibile ad un periodo non superiore all’anno.

S’individua, poi, quale soglia invalicabile dall’autonomia contrattuale, il limite di 48 ore per ogni periodo di sette giorni: tale valore costituisce una media da calcolarsi con riferimento a un arco temporale non superiore a quattro mesi, elevabile in caso di ragioni obiettive, tecniche o inerenti l’organizzazione del lavoro dai contratti collettivi fino a sei o a dodici mesi dai contratti collettivi.
Per quanto concerne la durata massima giornaliera, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore; ne consegue, quindi, che la giornata lavorativa non possa superare le 13 ore.

In difetto di disciplina collettiva applicabile, il ricorso allo straordinario è ammesso per un periodo non superiore a 250 ore annue.

La legge, ancora, prevede  alcune fattispecie per le quali – salva diversa previsione della contrattazione collettiva – si può ricorrere al lavoro straordinario (art. 5  del D. Lgs. n. 66/2003). I casi previsti sono i seguenti:
> eccezionali esigenze tecnico-produttive e impossibilità di fronteggiarle attraverso l’assunzione di altri lavoratori;
casi di forza maggiore o casi in cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario possa dare luogo a un pericolo grave e immediato, ovvero a un danno alle persone o alla produzione;
eventi particolari (mostre, fiere e manifestazioni collegate all’attività produttiva, nonché allestimento di prototipi, modelli o simili, predisposti per le stesse), preventivamente comunicati agli uffici competenti e in tempo utile alle rappresentanze sindacali aziendali.

Il ricorso al lavoro straordinario deve essere, inoltre, contenuto.

La sistematica richiesta di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura (giornaliera, settimanale, periodale o annua) del lavoro o la violazione delle regole sui riposi – come anche  lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli – configura una responsabilità del datore di lavoro per il danno cagionato alla salute (art. 32 Cost.), oltre che alla personalità morale (art.35 Cost.), del lavoratore in relazione all’art. 2087 del codice civile (Cass. civ., sent. n. 16711/2020).

Alla luce di tali premesse e secondo consolidata giuripsrudenza di legittimità, il lavoratore ha il diritto di rifiutare il lavoro straordinario quando la direttiva impartita non rispetta i limiti previsti dalla legge o dal contratto collettivo, o per motivi gravi e rilevanti (ad. esempio in caso di  conflitto con le inderogabili esigenze di cura o di salute del lavoratore medesimo o di membri della sua famiglia). Grava – secondo l’art. 2697 del codice civile – sul lavoratore l’onere di provare, a giustificazione del rifiuto di corrispondere alla richiesta, “una inaccettabile arbitrarietà della medesima“. Detto rifiuto, se le prestazioni domandate sono contenute nei limiti di legge, potrà concretare un inadempimento sanzionabile disciplinarmente, a condizione che il potere discrezionale dell’imprenditore di richiedere la prestazione dello straordinario sia stato esercitato secondo le regole di correttezza e buona fede, poste dagli artt. 1175 e 1375 del codice civile e, quindi, anche dando un preavviso adeguato (v. anche Cass. civ., sent. n. 11821/2003).


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Conto corrente, nuove regole in arrivo per i bonifici bancari in tutte le banche: ecco cosa cambia e da quando

Pubblicato il: 31/08/2024

Il bonifico rappresenta uno dei sistemi di pagamento più diffusi e convenienti in circolazione, grazie alla sua rapidità e tracciabilità, sia quando viene inviato che quando viene ricevuto.
Inoltre, un ulteriore incremento nell’impiego dei bonifici è derivato dalla capillare diffusione delle app di home banking.
È bene però conoscere tutte le novità che, a breve, verranno introdotte a livello comunitario, le quali porteranno una serie di cambiamenti per tutti i clienti delle banche.
Si tratta di innovazioni che renderanno lo strumento del bonifico ancora più funzionale e pratico. Infatti, le modifiche più rilevanti, approvate dal Parlamento europeo, mirano a incrementare la velocità e la sicurezza delle operazioni bancarie.
Questi cambiamenti saranno applicati in tutti i Paesi dell’Unione europea e non solo, anche se l’implementazione avverrà in tempi diversi. Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, si stanno già preparando per rispettare le nuove scadenze. Vediamo quindi cosa accadrà.

Le modifiche coinvolgeranno tutte le banche, in quanto derivano da aggiornamenti normativi che saranno validi per tutti gli istituti di credito e le casse di risparmio. Tali cambiamenti non riguarderanno solo i Paesi dell’Unione europea, ma si estenderanno anche a Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
La maggior parte delle nazioni dovrà adattarsi entro il 9 ottobre 2025, con alcune eccezioni per i Paesi extra Ue che non utilizzano l’euro, come la Norvegia con la corona norvegese, l’Islanda con la corona islandese e il Liechtenstein con il franco svizzero. Questi Paesi, che fanno parte dello Spazio economico europeo, avranno più tempo e dovranno adeguarsi entro il 9 luglio 2027.

Una delle principali novità riguarderà i bonifici istantanei. L’Unione europea ha stabilito che ogni trasferimento di denaro all’interno dell’UE e dello Spazio economico europeo debba essere completato entro 10 secondi. Ciò significa che tutti i bonifici diventeranno immediati, con l’obiettivo di incentivare l’uso di questo metodo di pagamento trasparente e favorire le transazioni economiche tra Stati.
I clienti delle banche potranno inviare e ricevere bonifici ogni giorno della settimana e in qualsiasi momento, 24 ore su 24, tramite i servizi di home banking. La finalità è la sostituzione del contante, attraverso un sistema molto rapido e facilmente accessibile. In questo modo, l’UE intende combattere crimini finanziari ed evasione fiscale, obiettivo condiviso da molti Paesi.

Inoltre, le banche non potranno più applicare commissioni superiori a quelle già in vigore per i bonifici tradizionali. Attualmente, il costo medio di un bonifico online è di circa 0,37 euro, mentre effettuare l’operazione allo sportello costa circa 4,73 euro nell’area Sepa. Uno dei motivi per cui i bonifici istantanei non sono ancora molto diffusi è proprio legato ai costi, che sono più elevati rispetto ai bonifici standard.
In Italia, secondo i dati del Consiglio dei pagamenti europeo del 2022, i bonifici istantanei rappresentano solo il 5% di tutti i bonifici inviati o ricevuti nell’area Sepa.

Un altro importante cambiamento è strettamente legato all’introduzione dei bonifici istantanei su vasta scala. Le nuove regole imposte dall’Unione europea obbligheranno le banche a garantire ulteriore protezione ai propri clienti, verificando sempre che il nome del destinatario corrisponda all’IBAN indicato da chi invia il pagamento, sia per le operazioni effettuate allo sportello che tramite i servizi online.
A dire il vero, alcuni istituti di credito già effettuano questa verifica, ma la sua obbligatorietà renderà uniformi le procedure in tutta l’Unione. Ciò è molto importante, in quanto, vista la rapidità dei bonifici, gli stessi difficilmente potranno essere annullati o contestati. In questo modo, si cercherà di ridurre il rischio di errori, frodi e truffe, adottando ulteriori misure di sicurezza per garantire la protezione delle transazioni bancarie.


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Ferie, il datore ti paga le vacanze grazie ai benefit del welfare aziendale: ecco come funziona e cosa comprende

Pubblicato il: 31/08/2024

Nell’ambito delle politiche di benessere a favore del lavoratore – il cosiddetto “welfare aziendale" – vengono sempre più di frequente implementate una serie d’iniziative, al fine di apportare seri miglioramenti al clima organizzativo e incrementare, di conseguenza, anche la produttività.

La crescente attenzione – anche da parte del legislatore – per il welfare aziendale consegue alla recente valorizzazione dello stesso quale fondamentale strumento di sostegno dei lavoratori; ciò, soprattutto, in un periodo storico segnato da una profonda crisi economica.

Fra queste iniziative stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante i flexible benefits. Di che si tratta?

Sono compensi in natura, e quindi retribuzioni in valore non monetario, che il datore di lavoro eroga ai dipendenti, sotto forma di beni o servizi, consentendo ai destinatari di scegliere quelli più confacenti alle proprie esigenze e stili di vita.

Nello specifico, il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori una vasta gamma di opzioni tra cui scegliere, e ognuno può configurare il pacchetto più idoneo in base all’importo assegnato dall’azienda. Proprio per questo, i flexible benefits vengono definiti anche carrello della spesa del dipendente".
I flexible benefits – si noti – non sono disciplinati all’interno del contratto individuale e sono, dunque, frutto di una scelta aziendale, oppure esito di una contrattazione collettiva.

Fra i più comuni figurano: asili nido, borse di studio, assicurazioni sanitarie, previdenza complementare, abbonamenti al trasporto pubblico. Di più: l'azienda potrebbe anche siglare un accordo con un’agenzia di viaggi per avere sconti e promozioni, o attivare un piano di welfare che includa tra i benefits i viaggi.

A ciò si aggiunga che sono previste agevolazioni fiscali per entrambe le parti: datore di lavoro e dipendente.

Qual è la normativa di riferimento?

L’articolo 1, commi 182-190, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016) ha previsto misure fiscali agevolative per le retribuzioni premiali, nonché per lo sviluppo del welfare aziendale che si sostanzia nell’attribuzione di opere, servizi nonché in alcuni casi somme sostitutive – i benefits per l’appunto – connotati da particolari rilevanza sociale.
L’art. 100 del T.U.I.R. afferma: “Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.
Inoltre, l’art. 51 del T.U.I.R. indica i vantaggi fiscali dei flexible benefits, definendoli totalmente esenti dall’imposizione retributiva e contributiva lato dipendente. Come riferito dalla norma citata, l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione in formato cartaceo o elettronico, riportanti il valore nominale.

Pur avendo un certo valore, i voucher, come ricordato anche dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 28/E del 2016, non configurano denaro. Inoltre non possono essere utilizzati da persona diversa dal titolare, non possono essere monetizzati o ceduti a terzi e devono dare diritto a un solo bene, prestazione, opera o servizio per l’intero valore nominale senza integrazioni a carico del titolare.

Al fine di comprendere meglio la procedura facciamo un esempio.

Ipotizziamo che Sempronio, datore di lavoro dell’azienda Alfa, stipuli una convenzione con l’agenzia di viaggi Beta e decida di riconoscere ai propri lavoratori un conto welfare del valore di 1000 euro. Il lavoratore si recherà presso l’agenzia di viaggi Beta convenzionata e sceglierà la vacanza desiderata. Spetterà al datore di lavoro pagare direttamente l’agenzia di viaggi e consegnare al lavoratore il voucher rappresentativo del viaggio o della vacanza scelta. Il dipendente si recherà presso la struttura desiderata (albergo, villaggio turistico, ecc.) e, consegnando il voucher, fruirà gratuitamente del soggiorno.
Se la somma riconosciuta al dipendente come welfare aziendale (nell’esempio 1.000 euro), non viene utilizzata integralmente per il viaggio o la vacanza scelta, l’importo che avanza non viene perso, ma potrà essere destinato ad altri benefits presenti nel piano welfare.

Molteplici sono i vantaggi lato dipendente:
>la somma riconosciuta dal piano welfare non concorre a formare reddito di lavoro dipendente;
> ricorrendo al voucher, il lavoratore sceglie la meta vacanziera che più gli aggrada a costo zero, dato che la spesa sarà totalmente a carico del datore di lavoro;
> il lavoratore, essendo in ferie, si vedrà corrispondere comunque la retribuzione.


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Bonus famiglia e lavoratori 2024 in scadenza, ecco tutti i bonus che saranno cancellati nel 2025 e che rischi di perdere

Pubblicato il: 31/08/2024

Il governo Meloni ha dato il via ai lavori per la nuova Legge di bilancio 2025, con un focus particolare sui vari bonus previsti a favore di famiglie e lavoratori, la cui scadenza è prevista nel 2024. Il rinnovo di queste misure, infatti, avrebbe un impatto importante sulle risorse disponibili. Proprio per questo, l’esecutivo sta pensando ad alcuni tagli, tra i quali i più rilevanti includono la riduzione del cuneo fiscale, l’unificazione degli scaglioni Irpef, il bonus per le mamme, gli incentivi per le assunzioni e la riduzione del canone Rai.
L’esecutivo è, quindi, chiamato a trovare un equilibrio tra la gestione delle finanze pubbliche e le aspettative del proprio elettorato.

In particolare, sono due le iniziative che molto probabilmente verranno riproposte.
La prima riguarda il taglio del cuneo fiscale, la cui proroga è già stata annunciata. Il taglio avverrà in misura pari al 7% per i redditi da lavoro sotto i 25mila euro e al 6% per quelli tra i 25mila e i 35mila euro.
Anche l'accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef in un’unica aliquota del 23% – per i redditi fino a 28mila euro – dovrebbe rimanere in vigore. Si sta, inoltre, valutando di abbassare la seconda aliquota (35% per i redditi compresi tra i 28mila e i 50mila euro) o persino di ritoccare la terza, che riguarda i soggetti con guadagni superiori ai 50mila euro.

Altra questione attiene al “bonus mamma”. Tale misura introduce, dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026, un esonero del 200% sui contributi previdenziali a favore delle lavoratrici dipendenti con contratto a tempo indeterminato e con almeno tre figli a carico, fino a quando il più piccolo non compia 18 anni. Lo stesso beneficio è esteso anche alle madri con due figli, ma solo fino al decimo compleanno del figlio più giovane.
Ebbene, è proprio questa seconda tipologia di “bonus mamma” a essere a rischio cancellazione, vista la scarsa disponibilità di risorse economiche.
Oggetto di discussione è anche la possibile proroga del taglio del Canone Rai, una tassa poco gradita dagli italiani, che nel 2024 è stata ridotta da 90 a 70 euro.

Alcune modifiche potrebbero riguardare anche il “Superbonus lavoro”, la misura che offre la possibilità alle aziende di stipulare contratti a tempo indeterminato, con la deduzione di una parte del costo del lavoro pari al 120%, che sale al 130% per gli ex percettori del reddito di cittadinanza, giovani e donne. Questa misura è valida per le assunzioni effettuate dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025; pertanto, anche se non dovesse essere rinnovata, rimarrebbe comunque in vigore per tutto il 2025.
Infine, a forte rischio cancellazione la decontribuzione per i datori di lavoro del Mezzogiorno, che attualmente prevede uno sgravio fino al 30%.


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Legge 104, puoi usare i permessi 104 per fare la spesa e le commissioni, il licenziamento è illecito: novità Cassazione

Pubblicato il: 30/08/2024

La Corte di Cassazione, con ordinanza 9 agosto 2024, n. 22643, si è espressa dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro in conseguenza dell’utilizzo, da parte del lavoratore, dei permessi retribuiti per attività diverse dall’assistenza diretta – “in presenza” – al familiare disabile.

È noto che la principale fonte normativa in materia di permessi lavorativi retribuiti, riconosciuti al lavoratore in ragione dell’assistenza da prestare al disabile, si rinviene nell’art. 33 della legge 104.

È disabile – viene specificato dalla normativa – “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”; sussiste una situazione di gravità “se la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale” (art. 3 della legge 104).

Peraltro, oggi, nel nuovo decreto sulla disabilità – il D. Lgs. n. 62/2024 – si adopera la locuzione “condizione di disabilità”, in luogo della parola “handicap“, per indicare il significato più ampio di duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale che, in presenza di barriere di natura diversa, può ostacolare concretamente la partecipazione alla vita quotidiana e ai diversi contesti di vita in condizione di uguaglianza con la collettività.

Rispetto all’utilizzo di questi permessi è sempre aperto – oltre che acceso – il confronto fra datore di lavoro e lavoratore. In particolare il contrasto verte sulla delicata questione se per “assistenza” s’intenda, necessariamente, l’assistenza diretta, atta a svolgere alcune attività vitali in senso stretto, o anche tutta una serie di attività collaterali che sono, sì, di supporto all’assistito, ma che possono essere compiute non in sua presenza (commissioni, disbrigo di pratiche, spese, ecc).

Nel caso di specie, al lavoratore era stato addebitato di non aver prestato alcuna assistenza diretta al nonno disabile nei giorni richiesti. Era stato, inoltre, provato e accertato che il lavoratore non aveva incontrato il parente disabile nelle date indicate al datore di lavoro.

Sul punto occorre, preliminarmente, ricordare che il legislatore non ha fornito indicazioni restrittive relative al luogo, su dove cioè debba essere prestata l’assistenza. Questo perché, in teoria, potrebbe essere ovunque, un qualsiasi luogo, purché funzionale al miglioramento delle condizioni di salute del disabile.

Le stesse modalità di assistenza al disabile – come ha più volte chiarito la giurisprudenza – non devono essere intese in senso restrittivo; esse possono comprendere una serie di commissioni – come fare la spesa o recarsi all’ufficio postale – nell’interesse dell’assistito, al di fuori del suo domicilio. Laddove, invece, venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro e assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto, ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente (cfr. Cass. 19/07/2019, n. 19580).

Con tali premesse la Corte di Cassazione, nella citata ordinanza n. 22643/2024, ha considerato illegittimo il provvedimento di licenziamento a carico del lavoratore che aveva provveduto ad assolvere alcune attività funzionali alle necessità del soggetto assistito, quali provvedere alla spesa per quest’ultimo. La nozione di assistenza cui sono finalizzati i permessi “non può essere intesa riduttivamente come mera assistenza personale al soggetto disabile presso la sua abitazione, ma deve necessariamente comprendere lo svolgimento di tutte le attività che il soggetto non sia in condizioni di compiere autonomamente”.

L’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi, infatti, in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile (v. anche Cass. n. 9217/2016).


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Arriva lo stalking sul posto di lavoro, se il datore ti mette ansia o paura può essere condannato: ecco la Cassazione

Pubblicato il: 30/08/2024

Con il termine mobbing si designa un fenomeno che si sviluppa all’interno dei luoghi di lavoro e che si concretizza in un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori a danno di un lavoratore, posti in essere da un soggetto che può essere tanto il datore di lavoro, quanto altri colleghi.

Il tratto che caratterizza il mobbing è rappresentato dal fatto che i comportamenti vessatori, rivolti nei confronti del lavoratore, sono reiterati, duraturi e finalizzati a lederne l'integrità psicofisica o ad estrometterlo dall’azienda o dall’ente in cui svolge la propria attività lavorativa.

Il mobbing – si noti – non è considerato un istituto di diritto penale, perché non è presente all’interno del codice penale un articolo che lo disciplina.

Così, data l’assenza di una norma incriminatrice e la perdurante inerzia del legislatore, la giurisprudenza – in via suppletiva – ha tendenzialmente ricondotto il fenomeno all’interno del perimetro sanzionatorio di alcune fattispecie di reato previste, nella specie, dalle seguenti norme del codice penale:

  • art. 572 c.p., laddove prevede le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di “persona sottoposta alla sua autorità”. Infatti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato – essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente – pone, invero, quest’ultimo nella suddetta condizione di “persona sottoposta alla sua autorità’’;
  • art. 610 c.p., che punisce il reato di violenza privata;
  • art. 612 bis c.p., che punisce il delitto di atti persecutori.

Un quadro giuridico questo, tuttavia, destinato a cambiare proprio all’indomani della decisione assunta dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 32770 del 21 agosto 2024. Una sentenza che – come riferiscono i primi commentatori – “apre la strada a una più efficace repressione di comportamenti vessatori che si protraggono ben oltre l’ambiente lavorativo”.

La Corte ha, infatti, sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“.

Il caso specifico – che ha portato a questa conclusione – riguarda un docente universitario accusato di una serie di reati, tra cui molestie sessuali nei confronti delle studentesse e abuso di autorità. Le azioni del docente, essendo state condotte in modo sistematico e prolungato, hanno non solo configurato una situazione di mobbing, ma sono state considerate a tutti gli effetti come stalking in ambito lavorativo, fenomeno altrimenti noto come stalking occupazionale.

Nella sentenza in esame è emerso che i comportamenti vessatori, posti in essere dal docente universitario indagato, hanno generato un ambiente di lavoro ostile e insostenibile. Tra le condotte denunciate e riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.
La Cassazione ha evidenziato come tali comportamenti abbiano “superato il livello di ordinaria conflittualità presente in un ambiente di lavoro” e si siano concretizzate in un “accanimento psicologico” ai danni delle vittime tale da configurare, per l'appunto, gli estremi dello stalking occupazionale.


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Bonus libri scolastici, arriva il contributo regionale per gli studenti delle medie e superiori: ecco dove e i requisiti

Pubblicato il: 30/08/2024

L'arrivo di settembre significa fine delle vacanze e rientro al lavoro o, per i più giovani, a scuola. Chi è genitore sa che l'acquisto dei libri scolastici comporta una spesa non indifferente, che preoccupa le famiglie, soprattutto negli ultimi tempi, per il generale aumento del costo della vita.
Per l'anno 2024/2025, secondo una stima del Codacons, tra zaini, diari, quaderni, prodotti vari di cancelleria, materiale da disegno, libri e dizionari, l’esborso complessivo può arrivare sino a 1.300 euro a studente.

Proprio per aiutare le famiglie, in particolare quelle più in difficoltà, diverse regioni hanno previsto, anche per l'anno scolastico che inizierà a breve, un bonus per l'acquisto dei libri di testo e materiale scolastico.
Si tratta, come abbiamo detto, di un contributo regionale e non nazionale. Di conseguenza, ogni regione ha fissato dei requisiti specifici. Tra le regioni dove l’agevolazione è stata confermata anche per l'anno scolastico 2024/2025 ci sono Abruzzo, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto.

In via generale, il bonus è attivo per gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, quindi scuole medie e scuole superiori, per quelle paritarie e per quelle formative accreditate dalla regione.

Per quanto riguarda i requisiti, è necessario rientrare nei parametri ISEE fissati da ciascuna regione. Ad esempio, la Regione Lazio richiede che l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) in corso di validità del nucleo familiare dello studente non sia superiore a € 15.493,71, mentre, per quanto riguarda la Regione Veneto, sono stabiliti due importi massimi concedibili secondo due fasce ISEE:

  • euro 200,00 agli studenti appartenenti a nucleo familiare con ISEE da 0 a 10.632,94 euro;
  • euro 150,00 agli studenti appartenenti a nucleo familiare con ISEE da 10.632,95 a 15.748,78 euro.
Ancora, la Regione Campania prevede, invece, che i contributi siano erogati dai singoli comuni. Ad esempio, il Comune di Napoli indica che possono accedere al beneficio gli studenti iscritti alle scuole secondarie di primo e secondo grado ubicate nella città di Napoli, il cui nucleo familiare abbia un ISEE pari o inferiore a euro 13.300,00.
Per quanto riguarda, invece, la Regione Puglia, il valore ISEE non deve essere superiore ad € 11.000,00. Tale limite viene elevato a € 14.000,00 nel caso di famiglie numerose con 3 o più figli.

Trattandosi di contributi erogabili dalle singole regioni o comuni, le modalità di richiesta sono diverse a seconda dell'ente territoriale, così come le scadenze. Ad esempio, per la Regione Veneto, la domanda di bonus libri potrà essere presentata dal 16 settembre 2024 ed entro il termine perentorio delle ore 12:00 del 18 ottobre 2024, mentre la Regione Puglia ha previsto due finestre temporali, una già scaduta, e una che sarà attiva dalle ore 12:00 del 5 settembre 2024 fino alle ore 12:00 del 16 settembre 2024.

Se avete necessità di richiedere il bonus libri e materiale scolastico, vi consigliamo quindi di informarvi sui siti della vostra regione o del comune di residenza, in modo da conoscere tutte le informazioni specifiche per fare domanda.


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Naspi in un’unica soluzione, puoi richiedere la disoccupazione tutta insieme se ti metti in proprio: ecco le condizioni

Pubblicato il: 29/08/2024

Forse non tutti sanno che il D. Lgs. n. 22/2015 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali) prevede un’ambiziosa misura di sostegno all’auto-imprenditorialità, destinata a stimolare – in coloro che abbiano perso involontariamente l’occupazione – la volontà di ricollocarsi sul mercato del lavoro.

Al percettore della NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) – l’indennità di disoccupazione erogata in rate mensili dall’INPS – viene, infatti, riconosciuta la possibilità di richiedere la liquidazione anticipata dell’importo complessivo del trattamento spettante e non ancora erogato.

Più nel dettaglio, l’indennità viene corrisposta in un’unica soluzione e a titolo di incentivo nei seguenti casi:

  • per l’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di un’impresa individuale;
  • per la sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa (art. 2511 c.c.), nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio.

Occorre tenere ben presente, tuttavia, che l’erogazione anticipata della NASpI non dà diritto alla contribuzione figurativa, né all’assegno per il nucleo familiare.

Quali adempimenti sono richiesti?

Operativamente, il lavoratore che intende avvalersi della liquidazione in un’unica soluzione della NASpI deve presentare all’INPS, a pena di decadenza, domanda di anticipazione in via telematica entro 30 giorni dalla data di inizio dell’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o dalla data di sottoscrizione di una quota di capitale sociale della cooperativa.
Per la compilazione della domanda è essenziale allegare la documentazione attestante l’effettivo avvio di una nuova attività. Ad esempio, se è stata aperta una partita IVA, occorre allegare la Dichiarazione di conferma dell’apertura della Partita IVA ricevuta dall’Agenzia delle Entrate. Una volta inviata la domanda, è possibile monitorarne lo stato con il servizio “NASpI Anticipata: consultazione domande”. Al termine della lavorazione della domanda, la Sede INPS invia la comunicazione di esito tramite POSTEL e avverte con un SMS al cellulare fornito nella domanda. Il messaggio segnala la presenza di un Avviso nell’area MY INPS, accessibile con codice fiscale e credenziali SPID, PIN o CNS.

E se s’instaura un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata?

In tal caso il lavoratore è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, salvo il caso in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale (si veda anche Circ. 12 maggio 2015, n. 94).

Sul punto si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 90 depositata il 20 maggio 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del D. Lgs. n. 22/2015, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della NASpI nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.

Nel caso di specie, l’INPS aveva erogato la NASpI in via anticipata, quale incentivo all’autoimprenditorialità, a un lavoratore che aveva perso il posto di lavoro, perché intraprendesse un’attività di esercizio di ristoro (un bar). Successivamente l’Istituto gli aveva richiesto l’integrale restituzione di tale incentivo, perché il lavoratore – prima che terminasse il periodo per il quale la NASpI gli era stata accordata – aveva cessato di esercitare l’attività imprenditoriale a causa delle restrizioni per il COVID e aveva trovato un’occupazione come lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Ma – ha affermato la Corte Costituzionale – la previsione della integrale restituzione viola il principio di proporzionalità e ragionevolezza, oltre che il diritto al lavoro, di cui agli articoli 3 e 4 della Costituzione, allorché l’attività imprenditoriale non sia proseguita per «impossibilità sopravvenuta o insuperabile oggettiva difficoltà», come nel caso delle restrizioni per il COVID.
Non rileva, invece, il rischio d’impresa che grava sul lavoratore il quale preferisca l’anticipazione dell’intera NASpI spettante all’erogazione periodica. L’eventuale mancato successo dell’iniziativa imprenditoriale  – ad avviso della Corte – non esonera dalla restituzione integrale dell’anticipazione, nel caso di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo al quale si riferisce la NASpI.


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