Posso chiedere la riduzione dell’orario di lavoro? Da full-time a part-time è un mio diritto? Sfatiamo un altro mito

Pubblicato il: 04/11/2023

Metti una giovane americana, Briella Asero, di 21 anni, con un profilo su TikTok, con oltre 130.000 follower. Aggiungi un nuovo impiego, la scoperta dell’orario di lavoro e lo sfogo della ragazza che, piangendo in video social, spiega come non riesca a conciliare il lavoro con i propri impegni personali. Metti anche che questo video diventa virale nel mondo.

Mescola tutto e la discussione sul rapporto tra il lavoro e le nuove generazioni si riaccende.

Nel video, l’influencer – in lacrime – ha spiegato che, nel suo primo giorno di lavoro, ha dovuto affrontare un turno di otto ore: dalle 9 di mattina alle 17 del pomeriggio. Troppo, eccessivo secondo lei, considerando anche il tempo per raggiungere il posto di lavoro. La giovane si è sfogata: tutto questo le impedisce di avere tempo per una vita al di fuori del lavoro.

Il video social di Briella ha fatto discutere, ma parliamoci chiaro: chi è che, almeno una volta, non si è sentito sotto stress per il lavoro e ha pensato di ridurre le ore lavorative per dedicare del tempo a sé?

In Italia, la legge stabilisce che l’orario di lavoro normale settimanale sia di 40 ore. Però, spesso, i contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) prevedono un orario settimanale più basso (ad esempio, di 37 ore settimanali).

Quando il contratto individuale di lavoro prevede l’orario di lavoro normale settimanale, allora è un contratto a tempo pieno. Invece, se il contratto individuale prevede un orario più basso di quello normale (ad esempio, solo 20 ore settimanali), si tratta di un part-time.

Il lavoratore, quando è assunto a tempo pieno, può chiedere la riduzione dell’orario di lavoro e il passaggio al part-time? La risposta è sì: basta inviare una richiesta scritta e motivata al datore di lavoro.

Però, il lavoratore a tempo pieno ha diritto alla trasformazione del contratto di lavoro in part-time? Qui, la risposta potrebbe non piacere all’influencer americana del video. Infatti, in Italia, salvo pochi casi previsti dalla legge, non esiste un diritto del lavoratore ad ottenere la trasformazione del contratto a tempo pieno in part-time.

Quali sono i rari casi in cui il lavoratore ha questo diritto?

La legge (art. 8 del d.lgs. n. 81/2015) prevede questo diritto per i lavoratori del settore pubblico e privato con ridotta capacità lavorativa poiché colpiti da malattie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative che peggiorano con il tempo (ad esempio, sclerosi multipla).
Ancora, c’è il diritto al part-time anche per i lavoratori neogenitori che, invece di sfruttare il congedo parentale, chiedono la trasformazione in part-time, a condizione che ci sia una riduzione dell’orario al massimo del 50%.
Inoltre, pure le lavoratrici, che hanno subito violenza di genere, hanno questo diritto, ma a patto che ci sia disponibilità in organico.

Però, se hai pensato di chiedere la trasformazione in part-time e non sei in una delle situazioni appena viste, puoi comunque fare questa richiesta.

Cosa cambia? Se hai diritto al passaggio in part-time, il datore non potrà scegliere: tu chiedi, lui accoglie. Se la legge dice che non hai questo diritto, il datore potrà liberamente decidere se accettare o meno la tua richiesta.

Peraltro, ci sono casi in cui la legge non riconosce un diritto, ma una priorità del lavoratore, rispetto ad altri dipendenti, nel passaggio al part-time. Ad esempio, si riconosce priorità al lavoratore che abbia un figlio portatore di handicap o un figlio di età inferiore a 13 anni.

L’argomento resta di forte interesse e questo video su TikTok non ha fatto altro che scoprire la necessità di riuscire a combinare esigenze lavorative con esigenze personali.


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Come evitare il pignoramento del conto corrente: ecco come difendersi e le possibili strategie

Pubblicato il: 03/11/2023

È possibile evitare il pignoramento del conto corrente? La risposta a questa domanda non è sempre agevole. Esistono alcune strategie da poter adottare per evitare e/o rendere più difficoltoso il pignoramento del proprio conto corrente, le quali, tuttavia, presentano sia vantaggi che criticità.
Ma partiamo dalle basi.

Per giungere al pignoramento del conto corrente è necessario che il creditore proceda innanzitutto alla notifica di titolo(sentenza, decreto ingiuntivo, cambiale ecc.) e precetto (art. 480 c.p.c.).

Con l’atto di precetto il creditore intima il pagamento di quanto dovuto nel termine di giorni 10 dal ricevimento dello stesso. Salvo particolari eccezioni, il creditore non potrà iniziare l’esecuzione prima che siano trascorsi 10 giorni dalla notifica del precetto e comunque non oltre 90 giorni dalla stessa.
L’atto di precetto rappresenta, dunque, il termine ultimo entro il quale il debitore può saldare il proprio debito ed evitare l’esecuzione.
Il pignoramento rappresenta, invece, il primo atto dell’esecuzione forzata e persegue l’obbiettivo di “congelare” i beni del debitore attraverso la creazione di un vincolo giuridico sugli stessi.

L’atto attraverso il quale il creditore tenterà di bloccare le somme presenti sul conto corrente del debitore acquisirà la forma del “Pignoramento presso terzi” (art. 543 c.p.c.), con contestuale notifica dell’atto al debitore e all’Istituto (Banca, Poste Italiane ecc.).
La banca sarà obbligata a bloccare tutte le somme presenti (e accreditate in futuro) sul conto, fino alla concorrenza del credito, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge.

Quindi, come si può evitare il pignoramento del conto corrente?
La soluzione più semplice è quella di trovare un accordo con il creditore attraverso l’elaborazione di un piano di pagamento che permetta il rientro del debito.
Se questa strada, tuttavia, non appare percorribile, esistono ulteriori soluzioni, adottate nella pratica, per rendere più difficoltoso il recupero del credito.

Una prima strategia – sicuramente la più comune – consiste nel prelevare (in contanti) il denaro dal conto corrente, lasciando il conto stesso “in rosso”. È necessario tener presente che tale conto non potrà subire movimentazioni sino al termine della procedura esecutiva.

Altra soluzione – anch’essa ampiamente utilizzata – è quello di spostare il denaro dal conto corrente del debitore a quello di una terza persona. In questo caso il creditore non potrà agire nei confronti del terzo, non vantando alcun titolo e/o diritto nei confronti di questi.
Tuttavia, bisogna tener presente che il bonifico eseguito dal debitore nei confronti del terzo potrà essere soggetto ad azione revocatoria (soprattutto laddove non ci sia una causa giustificativa come, ad es., il pagamento di un debito pregresso o del prezzo di vendita di un bene), esperibile entro 5 anni dal compimento dell’operazione.

Una ulteriore modalità che può essere utilizzata per “svuotare” il conto può consistere nell’emissione di uno o più assegni circolari (intestati allo stesso debitore o ad un terzo soggetto). Infatti, la Banca per emettere l’assegno circolare si avvale delle somme effettivamente presenti sul conto corrente. La somma per cui è stato emesso l’assegno circolare sparirà dalla disponibilità del debitore, con la conseguenza che il contro corrente risulterà “in rosso”.

Altro espediente utilizzato per eludere il pignoramento consiste nel prelevare il denaro dal conto corrente e depositarlo in una cassetta di sicurezza presso la Banca. Il contenuto delle cassette di sicurezza è, infatti, segreto. Tuttavia, il creditore potrebbe venire a conoscenza dell’esistenza della cassetta di sicurezza attraverso la consultazione dell’Anagrafe Tributaria.

In ogni caso, qualunque sia la strategia che si intenda adottare, bisognerà muoversi in tempi brevi, considerando che il creditore, trascorsi 10 giorni dalla notifica del precetto, potrà notificare il pignoramento, con conseguente congelamento della situazione patrimoniale del debitore.


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Gli eredi non possono più contestare le donazioni, a rischio la legittima: la grande novità nella legge di bilancio 2024

Pubblicato il: 02/11/2023

Il disegno della legge di bilancio per il 2024 promette una vera e propria rivoluzione in materia di successioni e donazioni. Questo schema di legge ora in Parlamento, se approvato, modificherà le norme in tema di successione, eliminando la possibilità di esperire la cd. azione di restituzione: un’azione che serviva a tutelare la quota di legittima, se intaccata.

Ma cosa si intende per azione di restituzione? Andiamo con ordine: immaginiamo un padre che doni la sua unica proprietà, una villa, al primogenito, lasciando gli altri figli e la moglie praticamente a bocca asciutta e senza alcuna eredità.
Il codice civile, nel disciplinare le successioni, riserva ai cd. “legittimari”, cioè: coniuge, figli e ascendenti del defunto, una quota dell’eredità chiamata quota di legittima. All’interno di tale quota rientrano sia i beni lasciati dal defunto sia le donazioni. Nel caso in cui le donazioni fatte in vita dal defunto avessero leso la quota riservata per legge ai legittimari, gli stessi avrebbero a disposizione due azioni per tutelarsi: l’azione di riduzione, che rende inefficaci le donazioni e quella di restituzione, con la quale il legittimario insoddisfatto chiede la restituzione del bene donato al proprietario attuale (ossia, il terzo che abbia acquistato dal donatario).

Nel caso preso ad esempio, moglie e figli potrebbero sia far annullare la donazione, entro 10 anni dall’apertura della successione (con l’azione di riduzione), sia riprendersi la villa, anche se la stessa fosse poi stata venduta dal primogenito ad un terzo (con l’azione di restituzione). Ciò a condizione che non fossero decorsi 20 anni dalla donazione.
La conseguenza di ciò è che, se da un lato vengono tutelati gli eredi legittimari, dall’altro, acquistare o accettare in garanzia beni donati diventa molto rischioso sia per le banche che per i privati acquirenti.
Ebbene, con la nuova legge di bilancio tutto questo non sarà più un problema.

Cosa cambia con la legge di Bilancio 2024?
La proposta del Governo riscrive l’articolo 563 del codice civile denominato: “Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione”. Più precisamente, con la nuova legge di bilancio, nel momento in cui una donazione venga considerata lesiva della quota di legittima, l’erede legittimario non potrà più agire per recuperare il bene dal terzo acquirente, ma dovrà sperare solo nella solvibilità del donatario. Questo significa che, se il donatario è insolvente, perché magari dopo la vendita del bene si è reso nullatenente, il legittimario non potrà ottenere da lui alcun risarcimento. Allo stesso tempo, il legittimario non potrà chiedere nemmeno la restituzione del bene al terzo acquirente, che risulta tutelato a seguito della riforma.

In pratica non viene toccata l’azione di riduzione ma quella di restituzione, contro il terzo acquirente. L’obiettivo della riforma è quello di garantire facilità e sicurezza nella circolazione dei beni immobili, anche nel caso di donazione. Sarà possibile, dunque, per il donatario vendere facilmente la casa donatagli dall’avo defunto o chiedere alla banca un mutuo per l’acquisto dell’immobile frutto di donazione.
Dall’altro lato, c’è il forte rischio che i legittimari, in caso di insolvenza del donatario, rimangano privi delle tutele che prima la legge metteva a disposizione per salvaguardare il patrimonio familiare.
Chi vedrà ascoltate le proprie ragioni? Solo il tempo ci saprà dare una risposta.


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È reato diffondere i fuorionda in TV? Ecco ciò che molti ignorano: il caso Giambruno fa discutere

Pubblicato il: 01/11/2023

Giambruno e i suoi fuorionda hanno monopolizzato l’attenzione pubblica negli ultimi giorni. Gli spezzoni di video resi pubblici da “Striscia La Notizia” hanno creato scalpore nell’opinione pubblica e tutti, chi più chi meno, hanno parlato di questa vicenda.

Tra i molti spunti di discussione su questo caso, si è posto il problema dell’uso di questi fuorionda da parte del programma di Antonio Ricci. È legale oppure no?

Si tratta di una questione delicata perché si oscilla tra il diritto alla riservatezza e alla tutela della reputazione e la libertà di manifestazione del pensiero. Da un lato, si deve garantire il diritto alla privacy e la tutela dell’immagine dei soggetti coinvolti nei fuorionda. Dall’altro lato, deve anche assicurarsi il diritto di cronaca e di satira ai sensi dell’art. 21 Cost..

Striscia La Notizia, diffondendo frammenti di fuorionda di altri programmi, ha commesso un reato? Cerchiamo di capire cosa stabilisce la legge.

Si potrebbe pensare che si sia stato commesso il reato di intercettazione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche: il codice penale (art. 617 quater del c.p.) punisce chi, in modo fraudolento, intercetta comunicazioni informatiche o telematiche e poi ne rivela il contenuto. Ma è proprio così?

Innanzitutto, devi sapere che, se c’è il consenso, la pubblicazione di fuorionda è legale e non ci sono problemi in relazione al diritto alla privacy del giornalista. Infatti, solitamente, le aziende televisive, quando si deve registrare una trasmissione, fanno firmare una liberatoria ai soggetti che vengono ripresi dalle telecamere nello studio televisivo. Con la firma della liberatoria, c’è il consenso all’utilizzo delle immagini fuorionda e, quindi, anche alla pubblicazione delle stesse da parte di programmi come Striscia La Notizia. E molto probabilmente, anche Mediaset fa sottoscrivere liberatorie di questo genere.

Peraltro, nel caso di Giambruno, si deve anche considerare che i fuorionda della trasmissione “Diario del giorno” sono stati diffusi da Striscia La Notizia che fa parte dello stesso gruppo: infatti, Mediaset è editore sia del programma in onda su Rete 4, sia del programma satirico su Canale 5. Questo significa che non si pone alcun problema di violazione dei diritti sulla registrazione resa pubblica.

E se non c’è il consenso? Per la giurisprudenza europea (la Corte europea dei diritti dell’Uomo), la pubblicazione di fuorionda è comunque legale, anche quando gli spezzoni sono stati reperiti in modo illecito, quando si tratta di fatti di interesse pubblico. E, chiaramente, la vicenda dell’ormai ex compagno della Meloni è un fatto di grande interesse per la collettività. In questo caso, Striscia non ha commesso alcun reato perché si applica la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di satira (art. 51 del c.p.).

E in tutti gli altri casi? Tra i vari commenti, alcuni hanno detto che si potrebbe ipotizzare la commissione del reato di intercettazione illegale di comunicazioni informatiche o telematiche ai sensi dell’art. 617 quater del c.p..

In realtà, la risposta non è proprio così scontata perché, a ben vedere, il codice penale punisce chi, in modo disonesto, acquisisce e diffonde comunicazioni informatiche o telematiche.

Però, nel caso Giambruno, è vero che c’è l’acquisizione di una registrazione, ma non è così scontato dire che “Striscia La Notizia” abbia acquisito, in modo disonesto, quegli spezzoni di fuorionda. In fin dei conti, si tratta pur sempre di registrazioni avvenute all’interno di uno studio televisivo con annesse telecamere e microfoni.

Per di più, si tratta comunque di due programmi Mediaset. Discorso diverso sarebbe stato se Striscia avesse “intercettato” fuorionda di emittenti concorrenti come la Rai. Infatti, devi sapere che, in passato, la Rai ha denunciato Antonio Ricci proprio per l’art. 617 quater del c.p. e il regista di Striscia è stato condannato.

Come si svilupperà la situazione? Si vedrà se il programma satirico di Canale 5 cavalcherà ancora l'onda (o, meglio, il fuorionda) provocata da questa storia.


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Il blocco AGCOM di porno e scommesse sui cellulari dei minori è la giusta soluzione al problema? Abbiamo dei dubbi

Pubblicato il: 01/11/2023

Hai un figlio a cui, magari dopo molte insistenze, hai dovuto comprare il cellulare? Sei un genitore preoccupato di quel che può trovare navigando on line? Non sai come tenerlo sotto controllo, nell'era dei social network e degli smartphone? Ebbene, dal 21 novembre 2023 dovresti avere meno preoccupazioni, perché, se hai un figlio minore, non gli sarà concesso visitare, dal proprio cellulare, determinati siti.

Ebbene sì, l'immenso mondo della rete verrà un po' ristretto per gli under 18, ai quali, a partire dal 21 novembre 2023, non sarà più consentito navigare su siti appartenenti ad otto categorie, ritenute pericolose o comunque non appropriate a minori.

Tutto ciò per effetto della delibera 9/23/CONS dell'AGCOM (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), che adotta linee guida finalizzate all'attuazione dell'art. 7-bis del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, in materia di "sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio".

In particolare, l’art. 7-bis del d.l. n. 28/2020 dispone quanto segue: “1. I contratti di fornitura nei servizi di comunicazione elettronica disciplinati dal codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, devono prevedere tra i servizi preattivati sistemi di controllo parentale ovvero di filtro di contenuti inappropriati per i minori e di blocco di contenuti riservati ad un pubblico di età superiore agli anni diciotto;
2. I servizi preattivati di cui al comma 1 sono gratuiti e disattivabili solo su richiesta del consumatore, titolare del contratto;
3. Gli operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazioni elettroniche assicurano adeguate forme di pubblicità dei servizi preattivati di cui al comma 1 in modo da assicurare che i consumatori possano compiere scelte informate;
4. In caso di violazione degli obblighi di cui al presente articolo, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ordina all'operatore la cessazione della condotta e la restituzione delle eventuali somme ingiustificatamente addebitate agli utenti, indicando in ogni caso un termine non inferiore a sessanta giorni entro cui adempiere”.

In realtà, sulla base di tale norma, le società di telefonia avrebbero dovuto, già dal 2020, assicurare agli utenti servizi di parental control gratuiti, ma ciò non è avvenuto, e l'Agcom è dovuta intervenire.

Del resto, siamo in Italia: poteva mai funzionare qualcosa al primo colpo?
In seguito alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, i servizi che bloccano in automatico, sulle sim card intestate a minori, l'accesso a siti pericolosi, dovranno essere pre-attivati gratuitamente al momento dell’acquisto di una scheda.
Badate bene, ciò avverrà solo se la sim è intestata a un under 18.
Per i maggiorenni, il blocco potrà essere richiesto successivamente.

Ma su quali siti, concretamente, i minori non potranno più navigare?

Nella delibera dell'Agcom, in particolare, in merito al parental control, si fa riferimento a siti appartenenti alle seguenti categorie:
  • contenuti per adulti;
  • gioco d'azzardo e scommesse;
  • armi;
  • violenza;
  • odio e discriminazione;
  • promozione di pratiche che possono danneggiare la salute alla luce di consolidate conoscenze mediche (ad esempio siti che promuovono l'anoressia o la bulimia, o l'uso di sostanze illegali, di alcol e tabacco);
  • anonymizer (siti che forniscono strumenti e modalità per rendere l’attività online irrintracciabile);
  • sette (siti che promuovono o che offrono metodi, mezzi di istruzione o altre risorse per influire su eventi reali attraverso l'uso di incantesimi, maledizioni, poteri magici o essere soprannaturali).

Ma i genitori potranno davvero stare più tranquilli?

Sì e no. Sicuramente, si tratta di un passo avanti importante per tutelare l'attività dei minori online, ma bisogna anche considerare che non necessariamente le sim sono intestate agli under 18. Al contrario, spesso sono intestate ai loro genitori, e quindi tali servizi di parental control non verrebbero automaticamente pre-attivati.
Inoltre, la stretta dell'Agcom, in ogni caso, non può riguardare la pubblicità che tali siti possono farsi su altri canali, in primis i social network, che costituiscono, si sa, il maggiore pericolo per i minori.
Non ci resta che attendere i risvolti concreti di questa iniziativa.
Infine, vi segnaliamo che, per disattivare il servizio, raggiunta la maggiore età, occorrerà fare domanda al proprio operatore a mezzo SPID, tramite un pin fornito via sms, autenticandosi nell'area riservata del sito del proprio operatore telefonico, oppure tramite Otp (one time password), valida una sola volta, che viene inviata tramite mail o sms.
Parimenti, con tali modalità potrà richiedersi l’attivazione del parental control sulle sim intestate ai maggiorenni.

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Revisione auto scaduta, ecco come calcolare la scadenza reale: rischi multe altissime, confisca del mezzo e la patente

Pubblicato il: 31/10/2023

Quando si possiede un veicolo, si sa, ci sono tanti adempimenti da fare. Ad esempio, occorre ricordarsi di rinnovare l'assicurazione, pagare la tassa di circolazione e, in particolare, effettuare la revisione.

La revisione è un controllo tecnico a cui le autovetture devono obbligatoriamente sottoporsi periodicamente, al fine di verificare che il veicolo sia sicuro e rispetti tutti i requisiti di legge.

Per effettuare la revisione ci si può recare o presso gli uffici della Motorizzazione Civile o presso le officine autorizzate.

Al termine della stessa, verrà rilasciato un tagliando che certificherà il buon fine della revisione o la necessità di ripeterla, anche eventualmente con sospensione dalla circolazione, quando siano riscontrati guasti particolarmente gravi.
La norma che disciplina l'obbligo di revisione è l'art. 80 del Codice della Strada.
In particolare, il comma 3 di tale articolo prevede che la revisione sia effettuata, per le autovetture, gli autoveicoli adibiti al trasporto di cose o ad uso speciale di massa complessiva a pieno carico non superiore a 3,5 t e per gli autoveicoli per trasporto promiscuo, entro quattro anni dalla data di prima immatricolazione e successivamente ogni due anni.
Mentre, ai sensi del comma 4, per i veicoli destinati al trasporto di persone con numero di posti superiore a nove compreso quello del conducente, per gli autoveicoli destinati ai trasporti di cose o ad uso speciale di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t., per i rimorchi di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t., per i taxi, per le autoambulanze, per i veicoli adibiti a noleggio con conducente e per i veicoli atipici la revisione va effettuata annualmente.

Ricordiamo che, fino al 31 dicembre 2023, sulla piattaforma informatica "bonus veicoli sicuri" è ancora possibile richiedere il rimborso di euro 9,95, per le revisioni effettuate nel 2023, a compensazione dell'aumento dei costi di revisione.

Si tratta di un istituto introdotto con l’articolo 1, comma 706, della Legge 30 dicembre 2020, n. 178, e disciplinato con il Decreto del 24 settembre 2021.

Per accedere alla piattaforma occorre l'identità digitale SPID, la Carta d’identità elettronica (CIE) oppure la Carta nazionale dei servizi (CNS).

Ma cosa rischia chi viene trovato con la revisione scaduta?

Ai sensi dell'art. 80 del Codice della Strada, comma 14, chi circola con un veicolo che non sia stato presentato alla prescritta revisione è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 173 a € 694.

Nel caso di recidiva, ossia di revisione omessa per più di una volta, la sanzione è raddoppiabile.
Accertata la violazione, il veicolo è quindi sospeso dalla circolazione, e può essere utilizzato unicamente per recarsi ad effettuare la revisione.

Per chi circola con veicolo sospeso al di fuori di tali ipotesi, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 1.998 a € 7.993, oltre alla sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo del veicolo per novanta giorni.

In caso di reiterazione delle violazioni, si applica la sanzione accessoria della confisca amministrativa del veicolo.
Chi, invece, produce agli organi competenti attestazione di falsa revisione è soggetto, ai sensi del comma 17 dell'art. 80 del Codice della Strada, alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 430 a € 1.731, nonché alla sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione.

La legge, quindi, non ammette tolleranza per chi non procede alla dovuta revisione. Tuttavia, bisogna sapere che, per adempiere all'obbligo prescritto, si ha tempo fino al termine del mese di scadenza.
Se, ad esempio, l'ultima revisione è stata effettuata il 2 agosto 2021, si avrà tempo per la successiva sino al 31 agosto 2023. Dal 1 settembre 2023, invece, si sarà soggetti al rischio delle sanzioni sopra descritte.
Pertanto, è importante annotarsi la data di scadenza, al fine di non dimenticarsene, sia per una questione di sicurezza, sia per evitare sanzioni salate.


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Prestito tra amici, dopo 10 anni il debito può crescere del 50% se non hai sottoscritto un accordo di prestito gratuito

Pubblicato il: 31/10/2023

Con l'aumento del costo della vita, siamo abituati a far ancora più attenzione per rientrare nelle spese. Ma, si sa, l'imprevisto è dietro l'angolo. A chi non è capitato di ritrovarsi la lavatrice rotta o la caldaia da riparare e di affermare "questa non ci voleva proprio"? O potrebbe esservi capitato di dover affrontare una spesa medica che proprio non avevate previsto.

In tutti questi casi, può rendersi necessario ricorrere a familiari e amici per un prestito di denaro. Facendo così, stipulerete effettivamente un contratto.

Sì, vi sembrerà strano, ma in realtà nella vita quotidiana stipuliamo continuamente contratti. Anche il semplice acquistare un pacchetto di gomme in tabaccheria non è altro che una compravendita. E questo perché non per tutti i contratti occorre la forma scritta, che è necessaria, ad esempio, nel caso si acquisti un bene immobile.

Quando ricevete un prestito da un amico o da un parente, quindi, secondo la legge state stipulando un contratto di mutuo.
Ai sensi dell'art. 1813 del Codice Civile, "il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità."

Per mutuo, quindi, non si intende solo il classico contratto stipulato con la banca per l'acquisto di un immobile, ma qualsiasi prestito di denaro o di altre cose fungibili. Per cosa fungibile, si intende la cosa che può essere scambiata o sostituita facilmente con altra dello stesso genere, in considerazione delle proprie qualità intrinseche, come la circostanza di poter essere misurata, pesata, enumerata.

Il denaro ricevuto andrà poi restituito alla scadenza, ai sensi dell'art. 1817 del Codice Civile, che stabilisce che, nel caso nel contratto di mutuo non sia fissato un termine per la restituzione, questo è individuato dal giudice.

E per quanto riguarda gli interessi? Occorre restituire anche quelli?
È l'art.1815 del Codice Civile a stabilire che, salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario (ossia colui che riceve il prestito) deve corrispondere gli interessi al mutuante (ossia colui che presta il denaro).

Il mutuo, quindi, è un contratto per sua natura a titolo oneroso, ma è possibile stipularlo a titolo gratuito, e di certo tale ipotesi può configurarsi quando il denaro viene prestato tra amici o familiari.

In questi casi, le parti dovranno redigere apposita scrittura privata, indicando che il prestito non è produttivo di interessi.
Senza tale specificazione, rischiate di dover pagare anche gli interessi. Naturalmente, il tasso di tali interessi non può eccedere il limite oltre il quale gli interessi, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 108/96, sono considerati usurai. Una prova del prestito tra amici o familiari, come può esserlo appunto la scrittura privata, è sempre opportuna quando si tratta di cifre più elevate, anche onde evitare problemi con il fisco. In questi casi, per tutelarsi, è necessario assicurarsi che la scrittura privata sia dotata di data certa.
Per avere una data certa, occorre o registrare la scrittura privata presso l'Agenzia delle Entrate, oppure inviarla a sé stessi a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, che ne attesti quindi la data, o tramite PEC.

Inoltre, nel caso di prestito di somme tramite bonifico, se non si vuole che questo produca interessi, è necessario inserire la dicitura "bonifico infruttifero" o "prestito infruttifero" nella causale del pagamento.

Queste sono tutte le indicazioni che vi occorrono se volete chiedere in prestito una somma di denaro ad amici o parenti e, in particolare, se desiderate che tale prestito non sia produttivo di interessi.


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Bonus trasporti, ecco una nuova opportunità: leggi come richiederlo, dura solo un giorno e la data è vicinissima

Pubblicato il: 30/10/2023

È di nuovo tempo di bonus trasporti! Ebbene sì, il Governo ha stanziato ulteriori 35 milioni di euro, finalizzati ad erogare questa misura di sostegno.
Nei mesi scorsi, le richieste sono state tantissime, e molti italiani sono rimasti a secco, non potendo beneficiare del contributo economico finalizzato alla fruizione del trasporto pubblico.
Come reso noto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, grazie ai fondi stanziati, nonché a eventuali fondi residui, generati dal mancato utilizzo di bonus rilasciati nel mese di ottobre 2023, sarà possibile nuovamente proporre domanda a partire dalle ore 8:00 del 1 novembre 2023.
La parola d'ordine è: velocità! Perché, proprio come avviene ormai quando deve acquistarsi online un biglietto per un concerto, la disponibilità termina già dopo pochi minuti.

Anche se dovreste sapere in cosa consiste il bonus trasporti (noi ve ne abbiamo già parlato), ecco nuovamente un riepilogo su tale misura di sostegno, sulle modalità per fare domanda e sui requisiti che si devono possedere per richiedere tale contributo.

Tale bonus è stato originariamente istituito con il d.l. 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91. In particolare, veniva istituto un fondo nello stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, finalizzato a riconoscere, nei limiti della dotazione del fondo e fino ad esaurimento delle risorse, un buono da utilizzare per l'acquisto, fino al 31 dicembre 2022, di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale.
La dotazione di tale fondo, con i decreti Aiuti-bis, Aiuti-ter e Aiuti-quater, è stata dapprima incrementata e poi depotenziata.

Per l'anno 2023, il Governo Meloni è intervenuto nuovamente su tale misura, in particolare con il d.l. 14 gennaio 2023, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 10 marzo 2023, n. 23.

In particolare, con l'art. 4 di tale decreto, è stata prevista l'istituzione di un fondo di 100 milioni di euro per l'anno 2023, sempre finalizzato a riconoscere, nei limiti della dotazione del fondo e fino ad esaurimento delle risorse, un buono da utilizzare per l'acquisto, fino al 31 dicembre 2023, di abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, ovvero per i servizi di trasporto ferroviario nazionale.

Per fare domanda, per sé stessi o per un beneficiario minorenne, occorre accedere, tramite SPID o CIE, alla piattaforma dedicata, al link https://www.bonustrasporti.lavoro.gov.it/

Il buono non è quindi cedibile, poiché reca il nominativo del beneficiario e può essere utilizzato per l'acquisto di un solo abbonamento, che può essere annuale, mensile o relativo a più mensilità.
Il valore di tale buono è pari al 100 per cento della spesa da sostenere per l'acquisto dell'abbonamento, nei limiti di un importo massimo di 60 euro.

Possono farne richiesta, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 5/2023, convertito con modificazioni dalla legge n. 23/2023, le persone fisiche che, nell'anno 2022, hanno conseguito un reddito complessivo non superiore a 20.000 euro.

Prima di fare domanda, ricordatevi di consultare l'apposita lista presente sulla piattaforma online, per scoprire se il gestore del servizio di trasporto pubblico relativo all'abbonamento che si vuole acquistare ha aderito all'iniziativa. Altrimenti, farete richiesta del bonus inutilmente. Inoltre, al momento della domanda, dovrà essere indicato tale gestore.

Non vi resta che collegarvi alle ore 8 del 1 novembre, per provare ad ottenere il contributo.


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Gli eredi non si accordano per la vendita della casa ereditata? Il Giudice può estrarre a sorte a chi assegnare il bene

Pubblicato il: 30/10/2023

Dopo la morte dei tuoi genitori, tu e tuo fratello avete ereditato la loro casa. Tuo fratello ha intenzione di vendere l’immobile, mentre tu sei contrario.

Vuoi sapere se tuo fratello può vendere la casa ereditata anche senza il tuo consenso? Capiamolo insieme.

Devi sapere che, se più persone ereditano un bene, si crea una comunione ereditaria: per l’art. 1100 c.c., c’è comunione quando uno stesso diritto appartiene a più persone e, se si tratta di un diritto di proprietà, si parla di comproprietà.

Ogni coerede è titolare di una quota ideale dell’intero bene, non di una porzione materiale di questo. Ad esempio, nel caso di un immobile ereditato da due persone, ciascuno è comproprietario del 50% dell’intero immobile e non di una singola stanza. L’art. 1102 c.c. stabilisce che ogni coerede può utilizzare il bene per intero, purché non impedisca agli altri contitolari di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Ciascun coerede può vendere la propria quota.
Quindi, tuo fratello potrebbe vendere la propria parte, ma la legge pone un limite.
L’art. 732 c.c. prevede il cd. diritto di prelazione degli altri coeredi: se tuo fratello vuole vendere ad un estraneo, tu hai il diritto di essere preferito all’estraneo, a parità di condizioni (ossia, allo stesso prezzo).
In particolare, il coerede, che vuole vendere, deve notificare la proposta di vendita agli altri coeredi, indicando il prezzo. Il diritto di prelazione può essere esercitato entro due mesi.
Se non si notifica la proposta di vendita agli altri coeredi, questi hanno diritto di riscattare la quota dal compratore.

Invece, per la vendita dell’intera casa, è necessario il consenso di tutti i coeredi. Infatti, l’art. 1108, comma 3 c.c. stabilisce che occorre il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di vendita del bene comune.

Cosa si può fare quando un coerede non è d’accordo sulla vendita del bene?

Nessuno dei coeredi può obbligare l’altro a vendere. L’unica soluzione è la divisione giudiziale: l’art. 713, comma 1 c.c. precisa che ciascun erede può rivolgersi al giudice, chiedendo la divisione dell’eredità.

In questo caso, il giudice deve obbligatoriamente verificare se sia possibile una mediazione tra i coeredi. Se la mediazione fallisce, si procede alla divisione giudiziale.

Se il bene può essere diviso in natura, a ciascuno erede verrà assegnata una parte del bene che rappresenta la quota di cui è titolare. Ad esempio, tu e tuo fratello siete comproprietari al 50% di una casa su due piani esattamente uguali: ad ognuno sarà assegnato un piano che corrisponde all’esatta metà dell’abitazione.

E se non può esserci una divisione in natura?
Il giudice deve controllare se c’è un coerede che vuole comprare l’intero bene.
Se c’è un coerede interessato, il giudice gli assegna l’immobile e gli ordina di versare agli altri coeredi una somma di denaro pari al prezzo delle loro quote.

Però, cosa succede se ci sono più eredi che vogliono acquistare l’intero bene?
Il giudice deve scegliere uno dei coeredi. Come? Il giudice controlla se esistono diritti da salvaguardare.
Se un coerede è titolare di un diritto da assicurare (ad esempio, l’erede che già viveva nella casa ereditata), egli sarà preferito, anche se la sua quota è inferiore.
Se non c’è un diritto da tutelare, sarà preferito il coerede con la quota maggiore.
Se non c’è diritto da salvaguardare e gli eredi interessati hanno una quota uguale, il giudice estrae a sorte l’assegnazione del bene.

Invece, cosa accade se non ci sono eredi interessati a comprare l’intero bene?
Il giudice metterà il bene all’asta e il ricavato della vendita sarà distribuito tra i coeredi in base alle loro rispettive quote.

Queste sono le soluzioni da poter seguire quando c'è disaccordo tra i coeredi sulla vendita di beni in comunione.


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Avvocato sbaglia carattere ed interlinea nel ricorso e il cliente paga: Giudice, “ma mi faccia il piacere”

Pubblicato il: 29/10/2023

La professione dell’avvocato è complicata. Bisogna sempre stare attenti alle novità legislative e al modo in cui vengono applicate dai giudici. Si deve pensare a tutto e ad ogni evenienza. L’avvocato deve avere sempre gli occhi aperti. Anche quando è da solo, nel suo studio, davanti al computer. Ora, forse, quando si scriverà un atto, ci vorrà ancora più attenzione anche nello scegliere il font, la dimensione dei caratteri e l’interlinea degli atti.

Il rischio è quello di essere penalizzati nel giudizio. È proprio quello che è successo recentemente a Verona in relazione alla decisione presa da un giudice di pace su un ricorso per decreto ingiuntivo.

L’argomento è di forte attualità tra gli avvocati e non solo, soprattutto dopo il 1° settembre 2023, con l’entrata in vigore del decreto ministeriale “giustizia” n. 110 del 2023. Infatti, questo nuovo d.m. stabilisce le regole da seguire per la redazione degli atti giudiziari: il limite massimo di pagine dell’atto, la dimensione carattere, l’interlinea e i margini dei documenti. Tutto precisato dall’art. 6 del d.m., il quale stabilisce che gli atti sono redatti mediante caratteri di tipo corrente “preferibilmente” utilizzando caratteri di dimensione di 12, con interlinea 1,5 e margini di 2,5 cm.

Ma si tratta di dettagli, no? Non proprio.

Infatti, come anticipato, il giudice di pace di Verona, applicando alla lettera il nuovo d.m. giustizia, ha sì concesso il decreto ingiuntivo alla parte richiedente, ma poi ha anche deciso di compensare le spese legali. E questa decisione ha penalizzato la parte vincitrice: questa ha vinto, ma deve comunque pagarsi le proprie spese legali.

Solitamente, c’è la condanna della parte perdente al pagamento di tutte le spese legali. Così, la parte vincitrice ha un rimborso delle spese che ha dovuto sostenere per iniziare la causa: il contributo unificato, la spese per le marche da bollo e le notifiche, il compenso dell’avvocato. Se c’è la compensazione delle spese, questo rimborso non c’è.

La cosa più incredibile di questa decisione è la motivazione usata: il ricorso era scritto male, senza rispettare le nuove regole del d.m., perché l’avvocato non ha utilizzato la corretta dimensione dei caratteri e la giusta interlinea, così come stabilito dall’art. 46 delle disp. att. c.p.c. in riferimento agli artt. 6 e 8 del d.m. n. 110 del 2023.

Quindi, se l’avvocato non avesse violato le regole di forma e redazione degli atti, la parte vincitrice non si sarebbe vista accollare le proprie spese legali? Basta un carattere di dimensione 11 o 13 (anziché 12) o l’interlinea di 1,6 (invece che 1,5) per far decidere al giudice di non riconoscere il rimborso al ricorrente vincitore?

Chiaramente, gli avvocati non sono rimasti indifferenti a questa decisione ed hanno fatto subito sentire la loro voce, con una mozione spedita direttamente al ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Qual è il problema? Il paradosso è che l’art. 6 del recente d.m. n. 110 del 2023 precisa sì le regole di forma e redazione degli atti giudiziari, ma precisa anche che gli atti vanno scritti “preferibilmente” utilizzando quei criteri.

Tutta l’avvocatura ha evidenziato che quel “preferibilmente” ha un significato: c’è perché si è voluto dire che questa norma non ha carattere assoluto e la sua inosservanza non può comportare sanzioni, come nel caso di Verona.

Questo che vuol dire? Significa che siamo davanti ad un provvedimento sbagliato. C’è un chiaro errore da parte del giudice.

Gli avvocati non ci stanno. Lo scontro è solo all’inizio.


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