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Si configura la fattispecie di maltrattamenti in famiglia anche in caso di cessione della convivenza?

Si configura la fattispecie di maltrattamenti in famiglia anche in caso di cessione della convivenza?
La Cassazione precisa che, anche in caso di separazione legale o di fatto tra coniugi, le condotte illecite sono sussumibili nella più grave fattispecie di maltrattamenti in famiglia, in luogo di quella di atti persecutori.
Attraverso la pronunzia n. 27173 del 6 giugno 2022 (depositata in data 13 luglio 2022), la Corte di cassazione, sezione sesta, si è occupata del tema del delitto di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 del c.p., qualora sia cessata la convivenza tra i soggetti coniugati, a seguito della separazione di fatto o di diritto degli stessi.
La problematica si poneva, in particolare, alla luce delle condotte persecutorie realizzate dal soggetto agente nel periodo successivo alla separazione legale o fattuale dei coniugi, le quali potevano integrare, in astratto, la più lieve fattispecie del delitto di atti persecutori, di cui all’ art. 612 bis del c.p., anche nella ipotesi aggravata di cui al comma 2.

In particolare, difatti, il comma 2 dell’articolo 612 bis del Codice penale prevede una circostanza aggravante del delitto di atti persecutori, ove, in particolare, “la pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.
Così che, in caso di condotte illecite attuate dall’ex convivente, ci si interrogava in giurisprudenza circa la sussumibilità della fattispecie concreta nel delitto di cui all’art. 572 c.p., ovvero in quella di cui all’art. 612 ter, comma 2, del Codice penale (ossia, nella sua forma aggravata).

Sul punto vi erano due diversi orientamenti in giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento, era necessario sussumere la condotta de quo all’interno del delitto di cui all’art. 572 c.p., anche qualora vi era stata interruzione del rapporto di convivenza: ciò in quanto i soggetti, seppur de facto separati, restavano comunque legati da un pregresso (ed ancora attuale, in caso di figli) rapporto familiare, il quale rendeva necessariamente punibili le condotte secondo la fattispecie di reato più grave di maltrattamenti in famiglia.

Secondo, invece, altro orientamento giurisprudenziale, al momento della cessazione del vincolo di coniugio o convivenza, le condotte erano da sussumere nella più lieve fattispecie del delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612 ter c.p., nella forma aggravata di cui al comma 2: ciò alla luce del fatto che la persona offesa, in tal caso, subisce i maltrattamenti al di fuori dell’area della casa coniugale, e ciò rende non adatta la sussumibilità del caso di specie nel delitto di cui all’art. 572 c.p..
Secondo una parte più rigida della dottrina, applicare la fattispecie dei maltrattamenti in famiglia alle condotte poste in essere al di fuori del vincolo familiare, integra una situazione di analogia in malam partem: non è possibile, difatti, estendere la fattispecie in esame fino al punto da ricomprendervi situazioni (ormai) extra familiari.

Al sol fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale, è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale, attraverso la sentenza in esame, ha indicato il discrimen tra le due fattispecie di reato in caso di interruzione del pregresso rapporto di convivenza familiare.
In particolare, secondo il Supremo Consesso, la distinzione tra le due fattispecie di reato va effettuata tenendo conto non del momento del perfezionamento della condotta (prima o dopo la convivenza), bensì dello status affettivo vigente tra le parti al momento del fatto illecito: in particolare, difatti, solo in caso di separazione definitiva tra i coniugi, definita attraverso sentenza di divorzio, le condotte di maltrattamenti poste in essere dopo la cessazione della convivenza sono da sussumersi nella fattispecie di atti persecutori aggravata, di cui all’art. 612 ter, comma 2, c.p..
In tutti gli altri casi, invece (si pensi alle situazioni di mera separazione di fatto, o anche legale, tra i coniugi), la condotta illecita va ascritta alla più grave fattispecie di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 del codice penale.

In particolare, sulla scia della pregressa giurisprudenza di legittimità (Cass. pen. sez. VI, 19 dicembre 2017, n. 3087), la Corte di Cassazione ha ivi ricordato che le condotte vessatorie attuate ai danni del coniuge non più convivente, a seguito di separazione legale o di fatto, integrano la fattispecie di reato di maltrattamenti in famiglia, non essendo venuti ancora meno i vincoli di solidarietà e reciproco rispetto di origine matrimoniale.
A contrario, in caso di censura di qualsiasi rapporto familiare ed affettivo, stante la sentenza di divorzio, così come ricordato dalla maggiore e granitica giurisprudenza di legittimità pregressa (Cass. pen., sez. V, 4 maggio 2016, n. 41665; Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2011, n. 24575), le condotte illecite successive al periodo di convivenza sono da sussumere all’interno della fattispecie di atti persecutori aggravata (Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2014, n. 33882).


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